Un milione le domande per il reddito di cittadinanza, un miliardo il risparmio rispetto a quanto stanziato. Che farne? Prima che finisca in un capitolo di spesa diverso, ecco una proposta semplice e chiara: li diamo ai minori e agli stranieri. Tra il 2005 e il 2017 la povertà tra i minori è triplicata (stabile, invece, tra gli over65), col risultato che 1 povero su 4 è minorenne, di fatto un impoverimento delle famiglie con più figli. Oggi anche la Cgia di Mestre rafforza il dato calcolando che il rischio di povertà degli under 16 è nettamente superiore a quello degli over 65: i minori in condizioni di deprivazione economica è del 31,5% contro una media Ue del 22%. Purtroppo la spesa per la protezione sociale è troppo sbilanciata sulle pensioni.
L’altra fonte di povertà è costituita dagli stranieri. A fronte di 1 italiano su 16 che cade in povertà, per gli stranieri la povertà ha un rapporto di 1 a 3. Lo so che in Italia – ora – parlare di soldi agli stranieri sembra un delitto, un grave errore politico. Però ogni tanto la verità va detta: la realtà non può essere smentita dalla propaganda. E la realtà è che esistono famiglie di stranieri che vivono e lavorano in Italia e che sono sostanzialmente povere. Hanno figli nati in Italia, che parlano italiano e che frequentano scuole italiane, ma sono poveri. Il contrasto alla povertà non va fatto selettivamente: la povertà – bianca o nera che sia – va ridotta il più possibile, soprattutto per le famiglie numerose e dunque per i minori.
E allora facciamo questi due piccoli cambiamenti: riequilibrare la scala di equivalenza, attribuendo un peso maggiore ai minori; rimuovere gli ostacoli che impediscono l’inclusione sociale e lavorativa dei cittadini stranieri. La scala di equivalenza – per chi non la conoscesse – è lo strumento che serve per calcolare l’importo del Reddito di cittadinanza a seconda del numero di familiari. Attualmente la scala in vigore sfavorisce i minori.
È bene sapere che la povertà minorile tende all’ereditarietà: in base a una stima Ocse – misurata sulla variazione tra i redditi dei genitori e quelli dei figli – si conclude che a un bambino nato in una famiglia italiana a basso reddito potrebbero servire 5 generazioni per raggiungere il reddito medio. Vale la pena affrettarsi, in sostanza. In un Paese a bassa mobilità sociale come l’Italia nascere povero è una condizione che assume una certa stabilità nel tempo. In Italia qualcosa di stabile, dunque, c’è: ma è in negativo, è la persistente povertà. Dunque, bene a misure universali a sostegno della natalità, ma non sottraiamo risorse ai minori di famiglie fragili e povere: serve un fondo per favorire la natalità e contrastare la povertà familiare. Insomma, se vogliamo dare un futuro ai “fratelli e alle sorelle d’Italia”, dobbiamo iniziare dai fratellini e dalla sorelline: quelli che ci sono e quelli che ci saranno.