La forza sempre attuale del Poverello
A cura di Daniele Rocchetti, delegato nazionale alla Vita cristiana
“L’uomo del secolo futuro”, cosi il suo primo biografo chiama Francesco di Assisi, la cui memoria festeggeremo nei prossimi giorni. Un uomo che è stato capace di leggere le aspirazioni più profonde degli uomini della sua epoca. Che ha saputo raccontare con la vita la novità del Vangelo dentro un tempo di grandi cambiamenti sociali. Da un’economia rurale posta sotto il profilo della stabilità succedeva un’economia urbana di mercato che esigeva la libera circolazione delle merci e delle persone e che invocava contemporaneamente nuovi rapporti sociali e nuove strutture politiche.
Francesco e la nuova società del suo tempo
Il regime feudale del vassallaggio non reggeva più; diventava un impaccio per le forze economiche che stavano emergendo.
Si imponeva una comunità più libera e più eguale. I mercanti, associandosi per i loro affari, davano già il modello della società nuova.
Francesco, figlio di Pietro di Bernardone, porta con sé la tensione della sua epoca e ne condivide le passioni, le ambizioni, le turbolenze. Ma vede gli scarti di questa nuova società, impara a riconoscere i loro volti. Così, nel cuore di una chiesa rimasta feudale e signorile, abile nelle mediazioni che tanto hanno il sapore di compromessi, scopre il corpo di Dio nella storia di Gesù di Nazareth.
Volevano prendere in mano il loro destino e realizzarlo insieme, su una base di uguaglianza: volevano vivere fraternamente associati. A questa volontà diedero un nome: il Comune.
Il Vangelo e una comunità di “frati” accomunati dalla povertà
Eppure, questo originale progetto di società si scontrò ben presto con gravi ostacoli: lasciata alle sue sole forze, la giovane società cadeva sotto il dominio del denaro; le associazioni di mercanti si chiudevano su se stesse e diventavano blocchi di interessi, rivali e dominatori.
Le libertà comunali giovavano ai più ricchi. La società si divideva e un nuovo e più subdolo feudalesimo si affacciava: quello del denaro, con nuove forme di oppressione. E a pagare, come sempre, erano i poveri, i “minores”, chi stava ai margini.
Richiama il valore del Vangelo “sine glossa”, l’unico in grado di riconoscere nel corpo di chi fa più fatica la gloria del Signore. Inventa una forma di vita comune in cui non esistono “majores” o “minores”, dove viene cancellata ogni posizione di dominio e di precedenza e dove la povertà è l’abito quotidiano che rende autentica ogni parola. Una fraternità che permette al Vangelo di essere parola fondatrice di umanità perché capace di leggere il proprio tempo, ciò che gli uomini e le donne con cui condivide la strada sentono come urgente e necessario.
La Chiesa e il “lupo grandissimo”
Penso a Francesco d’Assisi e guardo la Chiesa di oggi, presa dalla paura dell’irrilevanza, dall’ansia derivata dalla fuga di tanti che non si riconoscono più nei suoi gesti e nelle sue parole, incapace di far a meno, nonostante le tante parole contrarie, della sicurezza del potere e della seduzione del denaro. Al tempo di Francesco, infieriva, si dice: “un lupo grandissimo, terribile e feroce il quale non solamente divorava gli animali, ma anche gli uomini, al punto che tutti vivevano in grande paura”.
Questo lupo, abbiamo imparato a conoscerlo meglio. È un lupo di tutti i tempi e non si aggira per i boschi. Si nasconde in ciascuno di noi. Non c’è ruolo – né di cardinale o di monaco, di prete o di laico – che possa ammansirlo. Solo la docilità al Vangelo e la condivisione con i più poveri. Lo ha detto bene, in un intervento ai giovani, il papa argentino che del santo italiano ha voluto prendere il nome:
San Francesco di Assisi diceva ai suoi frati: Predicate sempre il Vangelo e se fosse necessario anche con le parole. Ma prima viene la testimonianza: che la gente veda nella nostra vita il Vangelo, possa leggere il Vangelo.”
Che sia questa la strada per rendere credibile il nostro essere credenti?