La Repubblica non è una forma statuale, o, per meglio dire, non è soltanto questo. Non è neppure un’idea astratta: la Repubblica è l’insieme dei cittadini che la abitano, delle istituzioni che la governano e delle leggi che la regolano, a partire dalla Costituzione che ne costituisce la norma fondamentale, la pietra angolare su cui poggia l’intera architettura repubblicana.
La Repubblica va in crisi nel momento in cui una delle tre architravi su cui si regge viene meno: se i cittadini sono delusi e non partecipano, se le istituzioni diventano poco credibili non perché malgovernate ma in se stesse, se le leggi vengono percepite come ingiuste, o asfissianti, o incomprensibili, allora la Repubblica è in pericolo.
Soprattutto è in pericolo se la Costituzione viene percepita come promessa non mantenuta, se la centralità del lavoro solennemente proclamata non è tale nella prassi, se l’uguaglianza dei cittadini che la Repubblica deve favorire, rimuovendo barriere, è illusoria dal momento che le barriere ci sono, solide e ben visibili, se il ripudio della guerra è soltanto formale e viene aggirato in molti modi.
Insomma, il concetto di Repubblica non si esaurisce in se stesso, ma trova la sua sostanza in ciò che la Repubblica fa, nelle promesse che mantiene, nel suo essere all’altezza delle sfide del cambiamento sociale: la delusione nei confronti della Repubblica rischia di diventare delusione nei confronti della democrazia e della libertà, ed è per questo che il discorso populista è così affascinante.
Laddove infatti la legalità repubblicana sembra diventare astrattezza e lontananza dai problemi quotidiani, il populista promette sicurezza, lavoro, benessere a buon mercato, magari eccitando l’ira del pubblico verso qualche nemico esterno (la questione dei migranti sta tutta qui: da un problema reale ma circoscritto si crea il timore di una minaccia globale). La conseguenza visibile del populismo di questi anni è proprio il deterioramento della partecipazione democratica, con le percentuali di astenuti che crescono ad ogni tornata elettorale.
Certamente la questione più grave in questo momento è quella della pace e della guerra: la Repubblica ripudia la guerra come metodo di regolazione degli affari internazionali, e questo è il dato tendenziale al di là dell’affermazione del dovere della difesa e della possibilità di entrare in guerra se aggrediti perché il popolo che chiede la pace ha diritto di lottare per la pace. Oggi, in uno schema internazionale che ci richiama a decisioni difficili, dobbiamo credere nella democrazia e rafforzarla attraverso la solidarietà e la cooperazione, perché il futuro nostro e dei nostri figli sarà possibile solo in un contesto di benessere e di pace.
Emiliano Manfredonia, Presidente nazionale delle Acli