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Festa della mamma: il valore del tempo per una società più coesa e felice

Una rivoluzione “conveniente”, ma pur sempre una rivoluzione. Potremmo definire così la conciliazione dei tempi di lavoro e vita. Una questione solo apparentemente semplice, che investe ambiti del nostro vivere associato considerati distanti ed estranei tra di loro: dall’organizzazione del lavoro a quella dei servizi, dalle relazioni tra i sessi a quelle di cura, dai ruoli sociali all’educazione, dalle politiche economiche e di welfare a quelle previdenziali, fino alla modalità di produzione dei beni di consumo.

Non c’è studio in merito che manchi di nominare la dimensione del benessere – sociale e soggettivo – e la qualità della vita, come esito e premessa di ogni intervento in uno qualsiasi di questi ambiti, insieme a principi fondamentali come la democrazia, l’uguaglianza e la solidarietà sociale. Ne è prova il lungo titolo della legge di riferimento nel nostro Paese: la Legge 8 marzo 2000 n. 53, Disposizioni per il sostegno della maternità e della paternità, per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi delle città.

Che si tratti di una dimensione “speciale” lo dice bene uno dei documenti (la Risoluzione 29 giugno 2000) alla base della recente direttiva europea sul tema:

La partecipazione equilibrata delle donne e degli uomini sia al mercato del lavoro che alla vita familiare costituisce un elemento indispensabile allo sviluppo della società, la maternità, la paternità e i diritti dei figli sono valori sociali fondamentali. L’effettiva parità delle donne e degli uomini nella sfera pubblica e in quella privata [deve essere] socialmente accettata come condizione di democrazia, presupposto di cittadinanza e garanzia dell’autonomia e della libertà individuali, con riflessi in tutte le politiche dell’Unione europea.

Questa “pervasività” della conciliazione comporta che ogni intervento vada progettato e realizzato in modo integrato.

Le caratteristiche fondamentali della conciliazione, dunque, sono tre e negano altrettanti stereotipi: non è un “affare di donne”; non è una questione privata; non è un bene di lusso.

La più democratica delle risorse, come viene definito il tempo in una recentissima indagine Istat, è in realtà fonte di discriminazioni e di povertà. L’onere di cura grava sulle donne, con pregiudizio della loro realizzazione sociale e lavorativa, dunque economica e previdenziale, riproducendo stereotipi negativi all’interno delle famiglie e della società.

Non si fa “un favore” alle donne realizzando interventi di conciliazione, ma si costruisce una società più sana, più giusta, più coesa, più felice. Lo sappiamo tutti, ma oggi è bene ricordarcelo: la mamma è sempre la mamma. Unica, coraggiosa, insostituibile. Anche quando lavora fuori casa.

Agnese Ranghelli – Responsabile Coordinamento Donne ACLI
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