Il messaggio della Commissione per i problemi sociali ed il lavoro della CEI per il Primo Maggio va direttamente al punto di uno dei più gravi problemi che, in una fase politica, sociale e sanitaria ancora difficile, travagliano il mondo del lavoro: l’ “elevato rischio per la salute e per la stessa vita a cui sono esposti tanti lavoratori”.
Lo scorso anno, secondo i dati INAIL, sono stati 1221 le lavoratrici ed i lavoratori che hanno lasciato la vita sul luogo di lavoro, e questa, oltre ad essere una tragedia per gli amici ed i familiari dei morti, è una tremenda responsabilità che pesa non solo sui datori di lavoro ma anche sui responsabili dei controlli sanitari e di sicurezza, che dovrebbero vegliare sulle condizioni di lavoro nelle fabbriche, negli uffici, nei campi e nei cantieri. A ciò si aggiungano, rimarcano giustamente i Vescovi, quei tanti morti, feriti ed invalidi “sommersi”, magari stranieri condannati alla precarietà dalla loro condizione irregolare o semi regolare, di cui nessuno tiene il conto.
Davvero si può dire che siamo di fronte “a un moderno idolo che continua a pretendere un intollerabile tributo di lacrime”, in nome di un’ansia di profitto che tutto calpesta, e che sistematicamente dimentica ciò che più volte il Papa ha ribadito, ossia che “la vera ricchezza sono le persone”.
A venire sfidata non è soltanto la legge dello Stato, che appare singolarmente impotente a farla applicare, ma la stessa dottrina sociale della Chiesa, che pone al centro della vita economica e sociale l’integrità e la dignità della persona umana, alla quale va subordinato ogni pur legittimo interesse. Se davvero si vuole perseguire quella complementarietà fra lavoro e capitale che da sempre è l’obiettivo dell’azione sociale dei credenti, occorre che questo accada in un contesto di equità, in cui le modalità organizzative dell’impresa siano modellate sulla sicurezza del lavoratore e sulla concreta vigilanza affinché questo accada.
Come Acli riteniamo che questo percorso virtuoso possa essere innescato da una positiva collaborazione fra gli imprenditori, i sindacati e le autorità pubbliche, con quella “assunzione di responsabilità collettiva” che la Cei auspica, e che deve manifestarsi prima possibile perché lo stillicidio dei morti e dei feriti è ormai intollerabile ed angosciante.
Questo però significa mettere mano da subito ad una serie di azioni coerenti e stringenti, a partire dalla necessità della formazione permanente, non solo sui temi della sicurezza, che giova al lavoratore tanto quanto all’impresa stessa. Significa superare la logica della competitività al massimo ribasso dei costi, che, soprattutto nel settore degli appalti pubblici, è diventata anche una filosofia deleteria per la Pubblica Amministrazione, creando situazioni in cui non solo è a rischio la sicurezza dei lavoratori, ma viene sistematicamente sacrificata la qualità (e magari anche la sicurezza) delle opere pubbliche con danno per la cittadinanza nel suo insieme.
Significa anche prendere atto di quanto l’economia sommersa sia purtroppo complementare, e non in scarsa misura, con l’insieme del sistema economico del nostro Paese, operando di conseguenza per favorire la sua emersione e la sua riconduzione nell’ambito della legalità, evidentemente anche attraverso i controlli sulla sicurezza.
Anche perché in definitiva, come ha ricordato il direttore generale dell’Ispettorato del lavoro Bruno Giordano, la vera sicurezza non deriva solo dall’applicazione delle norme e dall’ efficienza dei controlli, ma da una buona etica dell’impresa, che ancora manca, e che è frutto di un percorso prima etico che politico o legislativo.
In allegato il testo completo del Messaggio dei Vescovi per 1° maggio 2022, festa dei lavoratori.