Dopo l’annuncio degli Stati Uniti d’America di recedere unilateralmente dall’accordo sul nucleare iraniano, è seguita a breve distanza la decisione dell’amministrazione Trump di non sospendere l’applicazione di dazi commerciali nei confronti di Europa e Cina. Colpiti da queste “sanzioni” saranno il settore metallurgico europeo dell’acciaio (imposte del 25%) e dell\’alluminio (10%).
La decisione del Presidente USA si innesta in un più articolato piano di riforma del paradigma commerciale e produttivo statunitense, che tuttavia mostra molti punti deboli.
Se è vero che gli Stati Uniti d’America si trovano in una condizione di “declino relativo” (nel 1950 producevano il 50% delle merci disponibili al mondo, oggi solo il 17%), ciò non è dovuto ad una loro decrescita (hanno aumentato di 6 volte la propria produzione nello stesso lasso di tempo), ma ad una crescita degli altri Paesi (in primis la Cina, ma anche l’Europa uscita martoriata dalla Guerra). Il periodo di straordinario benessere economico degli Stati Uniti è anzi dipeso dalla propria capacità di porsi alla testa di un numero crescente di Stati alleati (arrivati a coincidere all’inizio degli Anni ’90 con la quasi totalità della Comunità internazionale) e di stringere con essi accordi multilaterali (in primis i Paesi anglofoni, ma anche gli alleati nella NATO e l’Unione Europea, la cui integrazione è stata a lungo sponsorizzata dagli USA in quando in linea con gli interessi del momento).
Oggi tutto questo sembra essere entrato in crisi, non tanto perché i sistemi multilaterali abbiano presentato inefficienze o carenze, quanto per una capacità dei principali promotori storici (gli USA) di leggere le dinamiche del presente e venire a patti con un proprio ruolo nel mondo che non può essere identico a quello del 1950.
Il tentativo di imporre dazi commerciali per favorire una produzione industriale interna potrà anche produrre risultati di breve termine, e si potrà concordare con la lettura che l’attuale modello di globalizzazione non sia del tutto equo e corretto. In ogni caso è sbagliato il metodo che l’Amministrazione Trump sta utilizzando per apportare queste riforme: non sarà con shock commerciali o misure restrittive, misure che tolgono fiducia al sistema internazionale, che si potrà giungere ad una riforma migliorativa dello stesso.
Se “riforme” devono essere, si dovrebbe avere la forza e la pazienza di raggiungerle attraverso un percorso pacifico e collaborativo tra tutti i soggetti coinvolti (per noi europei, in ossequio a quel modello di convivenza che ha portato il nostro continente a sperimentare un periodo senza precedenti di pace e sviluppo).
Le scelte americane non sono oggi in linea con gli ideali europei. Forse si tratta di una parentesi temporanea, ma se così non fosse gli scenari potrebbero portare fino al “tramonto dell’asse atlantista”, come da alcuni evocato. Si tratterebbe di una rivoluzione epocale, anche se coerente con l’assetto che il mondo ha assunto dopo il 1989 e che apre ad una generale riforma dei rapporti internazionali e delle logiche (anche economiche) in gioco.
Dipartimento Internazionale Acli