Il premier Conte, nel suo breve discorso di accettazione dell’incarico a formare il nuovo governo, ha evocato un nuovo umanesimo. Dopo anni di sovranismo e di populismo, l’aver ridato cittadinanza a questo termine è un merito, sperando cambi il verso del discorso politico: dalla politica contro alla politica per. Ma per far questo occorrerebbe anche un piccolo aiuto… emotivo. Vediamo.
Oggi per noi è quasi ovvio sostenere come l’essere umano debba essere il centro di ogni politica: fino a qualche secolo fa non era esattamente così. Anche la Chiesa ha faticato un po’ ad accettarlo. C’è voluto Jacques Maritain per dare il giusto taglio concettuale e formulare un convincente umanesimo cristiano, da lui definito integrale. Potremmo tradurlo così: benissimo rivalutare l’uomo ma è un grave errore pensare ad un uomo senza Dio, se non addirittura contro Dio, perché invece l’uomo ha una dimensione spirituale molto accentuata.
Anche la politica – che è un fatto molto umano – possiede una dimensione spirituale assai forte, ma che si può declinare in due versanti. Il primo è di unione tra il regno temporale e il regno spirituale: per redimere il mondo si deve instaurare una sorta di impero cristiano, dove vige la Verità. La seconda è la distinzione, l’autonomia tra i due regni: per vivere da cristiani in questo mondo bisogna costruire la città dell’uomo, dialogando con tutti per incamminarsi verso la Verità. Nel primo versante il mondo è una realtà negativa, da redimere attraverso l’unica religione, usata magari come amuleto; nel secondo versante si vive il mondo in modo più cordiale e aperto: fede in Dio e nella storia. Il primo versante è tipico dei sovranisti, dei populisti, i quali usano la religione e i suoi simboli come strumento di coesione sociale e politica: come teologia politica. Il secondo versante, invece, lascia che la fede illumini la coscienza della persona e – attraverso il discernimento comunitario – plasma una società giusta e ordinata (ordinata perché giusta): una teologia della politica. Maritain, per spiegarsi meglio, usa una metafora illuminante: la rifrazione della grazia di Dio consente di vivere meglio la vita temporale. Diciamo che nell’altro approccio, per mantenersi nella metaforica scia della luce, verrebbe da pensare ad un unico lampadario.
La Dottrina sociale della Chiesa degli ultimi decenni ha certamente attraversato il primo versante: la centralità della persona umana, il bene comune, la solidarietà e la sussidiarietà sono principi che illuminano il cammino del cristiano impegnato in politica. Anche l’umanesimo cristiano di papa Francesco va in questa direzione: niente sogni di potenza terrena, nessuna ossessione per il potere, neppure quello utile e funzionale alla Chiesa. Umiltà, disinteresse e beatitudine: centralità di Gesù Cristo, “ponte” tra l’uomo e Dio. Di più: assumere i sentimenti di Gesù. Questa sottolineatura sui sentimenti – espressamente ripresa da Papa Francesco – è molto fine, perché dimostra come il Papa abbia capito benissimo che per guidare la politica contemporanea i valori contano di meno, mentre i sentimenti contano di più. Sono i sentimenti a guidare il consenso, più che i valori. Allora il nuovo umanesimo, se vorrà recuperare tutti i valori finora descritti, dovrà essere attento anche ai sentimenti che suscita, che non potranno più essere quelli negativi: rancore, paura e indifferenza, ma entusiasmo e fiducia. Sarà possibile?
Anche nella versione laica dell’umanesimo – qualcuno ha espressamente citato Edgar Morin come autore tra i preferiti del premier – , esso si traduce in programmi che traducono sentimenti positivi: l’ambiente, lo sviluppo sostenibile, le energie rinnovabili, i giovani. Tutti lati positivi di una politica che si apre. Non c’è politica senza movimento: non c’è politica senza sentimento. Al nuovo governo spetta anche questo compito.