Eccedenza e insufficienza alimentare: il cibo giusto per tutti

La denutrizione e l’obesità rappresentano due aspetti della stessa realtà, quella della disuguaglianza fra ricchi e poveri. Secondo l’ultimo Rapporto Oms-Onu, infatti, nel mondo ci sono 821 milioni di persone senza cibo e quasi 700 milioni che mangiano in eccesso, alcuni dei quali fino a morirne. Denutrizione e obesità sono il risultato dell’insicurezza alimentare che sempre più può coesistere all’interno di uno stesso paese, povero o ricco che sia.

Eppure, di fronte all’impossibilità per molti di accedere a questi beni primari, vi è un’altra stridente contraddizione: nel mondo, il 30% del cibo prodotto viene buttato nella spazzatura. Ciò corrisponde a 1,3 miliardi di tonnellate, quattro volte la quantità necessaria per sfamare le persone denutrite. Ma, nonostante a livello globale il cibo gettato via abbia un costo di 2,6 trilioni di dollari l’anno, il problema non è soltanto economico poiché investe ampiamente anche la sfera ambientale. Per produrre tutti questi beni alimentari inutilizzati, nell’ultimo ventennio sono stati disboscati e deforestati circa il 30% della foresta amazzonica e il 20% di quelle sudafricane, provocando disastri ambientali che hanno un’eco in tutto il globo.

In Italia i dati seguono lo stesso andamento. Si stima che lo spreco alimentare è pari a 5,2 milioni di tonnellate, per un valore economico di quasi 10 miliardi di euro; le risorse inutilizzate sono dunque ingenti, anche se nell’ultimo anno sono diminuite. Il lockdown da Coronavirus, infatti, ha generato una maggiore consapevolezza del valore del cibo. Rispetto al 2019, si riscontra in effetti una contrazione di spreco del 12% tra le mura domestiche che tradotto in numeri significa 222.125 tonnellate di cibo salvato e 376 milioni di euro risparmiati in un anno.

Ma ciò non basta. Secondo l’ultimo rapporto di ActionAid, le conseguenze della pandemia sulle fasce già vulnerabili saranno devastanti: due milioni di famiglie rischiano di cadere in povertà alimentare. Accanto a questa è comparsa anche quella farmaceutica di cui si parla ancora poco: quasi mezzo milione di persone nel 2019 non ha potuto acquistare – per ragioni economiche – i farmaci di cui aveva bisogno.

È evidente che se da una parte la condizione attuale è caratterizzata da spreco e da sovra-sfruttamento delle risorse e dall’altra parte da un ampliamento della forbice delle disuguaglianze, occorre pensare con urgenza ad un cambio di paradigma socio-economico.

È necessario, dunque, in contrapposizione all’attuale modello di economia lineare, sviluppare un’economia circolare, capace di diminuire la sottrazione di risorse vergini e di eliminare gli scarti, generando ogni nuovo processo produttivo con gli scarti di quelli precedenti, così come fa la natura con i suoi cicli vitali. Così facendo, il riciclo rafforza la relazione fra gli attori con un effetto win win e il profitto, inteso come mera crescita di mercato, non è così più l’unico scopo da raggiungere.

Uno dei diciassette Obiettivi di Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite (SDGs) è proprio quello di ridurre lo spreco alimentare. In particolare, l’obiettivo 12.3 prevede di dimezzare, entro il 2030, lo spreco pro capite globale di rifiuti alimentari. È proprio nel quadro del punto 12 (consumo e produzioni possibili), il cui scopo è quello di promuovere e affermare modelli sostenibili di produzione e di consumo, che l’UE si impegna a sviluppare un’economia circolare che prevede anche il tema della lotta agli sprechi alimentari. Gli strumenti (Green Deal europeo, il bilancio a lungo termine dell’UE insieme a NextGenerationEU, ecc.), insomma, ci sono. Bisogna ora capire se c’è la volontà politica di utilizzarli in un’ottica di bene comune, o meglio ancora, di bene globale. In Europa non tutti i paesi sono allineati su questi obiettivi, per tradizione e storia, ma anche per coraggio, capacità e determinazione di portare avanti politiche e misure innovative.

In Italia un esempio di buona politica è proprio la L. 166 del 2016 – o meglio nota legge Gadda – che ha rivoluzionato il sistema di recupero di cibo e farmaci ai fini della solidarietà, consentendo a commercianti e catene di distribuzione di conservare alimenti in buono stato che altrimenti andrebbero buttati via, donandoli a organizzazioni che garantiscono un pasto alle persone povere, in cambio di agevolazioni fiscali.

Ma la questione non riguarda solo la politica: siamo tutti chiamati a cambiare i nostri stili di vita, per limitare il nostro impatto sull’ambiente. È questo il più elementare atto ecologico a cui tutti possono partecipare: consumare di meno per raggiungere una maggiore giustizia sociale. Occorrerebbe un’ampia campagna educativa per spiegare alle persone del “mondo di sopra” che se tutti consumassero come loro, il globo non riuscirebbe neanche a contenere tutti gli scarti prodotti. Inoltre, l’impronta ecologica non è uguale per tutte le popolazioni. Il riscaldamento climatico impatta innanzitutto sul “mondo di sotto”, anche se è quello che lo provoca di meno. È infatti innegabile che il capitale sociale di una comunità ha un ruolo fondamentale, alla cui base c’è la fiducia, il senso di responsabilità, la reciprocità e la solidarietà. In Italia ci sono oltre 6 milioni di persone che si impegnano gratuitamente per gli altri e per il bene comune, e in particolare nel periodo di pandemia è stato rilevato che 4 italiani su 10 hanno partecipato a iniziative di solidarietà per aiutare chi era in difficoltà.

I tempi sono quindi maturi: ci sono leggi e obiettivi sia a livello nazionale sia sovranazionale, si percepisce un lento cambio di passo delle persone rispetto alla questione ambientale (stili di vita sobri, produzioni sostenibili, ecc.), molte sono le organizzazioni che si impegnano quotidianamente su questo fronte e infine, da qualche settimana a questa parte grazie al Piano Nazionale Ripresa e Resilienza abbiamo a disposizione ingenti risorse da investire sulla transizione ecologica, un’occasione che non possiamo sprecare. Ma occorre che tutti questi elementi si muovano in modo coordinato, con l’obiettivo finale di eliminare le eccedenze alimentari e distribuire più equamente le risorse economiche, sociali e ambientali.

Accanto al pluriennale impegno delle Acli all’interno dell’Alleanza contro la Povertà Assoluta, il Progetto Vettore Eccedenze – gestito per lo più da volontari – rappresenta per la nostra Associazione un modo complementare per impegnarsi sul tema della povertà e della disuguaglianza. Infatti, oltre al prezioso lavoro politico dell’Alleanza svolto in rete con altre organizzazioni della società civile organizzata, le Acli sono impegnate da oltre 10 anni in attività di recupero e gestione di eccedenze, soprattutto alimentari e farmaceutiche. Con una parte dei fondi raccolti con il 5X1000 le Acli hanno recuperato, attraverso diversi progetti quali “Rebus”, “Il cibo che serve”, “pane agli ultimi” ecc. in circa 25 province del territorio nazionale, in un anno, quasi 900mila kg di generi alimentari e oltre 5mila confezioni di farmaci. Le attività di raccolta hanno consentito di offrire un aiuto concreto a circa 14.000 persone, con un impegno di diversi operatori e 240 volontari. Sono anche state realizzate nelle scuole circa 1.400 ore di informazione, educazione e sensibilizzazione sul tema del consumo e dello spreco.

Insomma, si tratta di un lavoro dai grandi numeri che mira a superare gli squilibri distributivi e riportare le nostre comunità lungo l’alveo della giustizia sociale e della sostenibilità ambientale. Il Progetto delle Acli, di fatto, non è un’iniziativa dedicata all’emergenza nel senso più stretto del termine come può essere quello di alcune grandi associazioni che rispondono hic et nunc al bisogno di mangiare da parte di alcune delle categorie più svantaggiate. Piuttosto, si tratta di un progetto di governance a lungo termine e di ampio respiro che mira a raccogliere e redistribuire eccedenze di vario genere puntando sulla qualità del cibo e delle relazioni, sulle reti, sulla prevenzione e sull’educazione.

La prima caratteristica del progetto è dunque la qualità del cibo e delle relazioni. Secondo il noto detto tedesco “der Mensch ist was er isst”, ovvero “l’uomo è quello che mangia”, l’obiettivo principale delle Acli è quello di agire a favore di una alimentazione corretta, equilibrata e varia. Infatti, la scelta è quella di recuperare e redistribuire prevalentemente alimenti a km0 dall’elevato valore nutritivo, prediligendo il fresco invenduto, ma ancora buono, piuttosto che le scatolette acquistate. In questo senso la qualità del cibo passa anche per quella delle relazioni, in quanto anche agli ultimi si offre un’alimentazione che sia la più sana possibile. Inoltre, attraverso le azioni di volontariato, si coinvolge la cittadinanza a partecipare e ad essere attivi per correggere la doppia aberrazione – materiale e umana – dello scarto, recuperando alimenti e famaci ancora utilizzabili e proponendo stili di vita salutari per tutti.

La seconda caratteristica del progetto è di creare un modello virtuoso di contrasto allo spreco, sviluppando un’alleanza territoriale che mette in rete tutti i macro-settori coinvolti: istituzioni, mondo profit e Terzo Settore. Si tratta di un vero e proprio esempio di sussidiarietà circolare che, mediante una gestione integrata e solidale delle eccedenze, ha il fine di promuovere azioni sostenibili e strutturali di prevenzione dei rifiuti alla fonte, mediante il recupero di beni invenduti da distribuire a persone in condizioni di fragilità socio-economica attraverso il network delle associazioni caritative.

La filiera di attori, economici e non, coinvolti in un qualsiasi progetto di recupero e distribuzione è in genere molto lunga e complessa: tra chi è in possesso delle eccedenze e le persone a cui queste sono destinate, c’è una grande distanza; quindi senza l’aiuto di attori intermedi, domanda e offerta hanno grandi difficoltà a incontrarsi. Ecco perché la rete è una componente fondamentale per rendere funzionale il Progetto Eccedenze ed è il valore aggiunto di questa buona prassi che di anno in anno cresce nei numeri e nei risultati: decine di enti caritativi e aziende coinvolte (tanto i supermercati, quanto i piccoli esercenti, le farmacie, ma anche le aziende municipalizzate come i mercati generali) permettono di “salvare dalla pattumiera” migliaia di chili di cibo e di confezioni di farmaci. Inoltre, il lavoro in rete con le amministrazioni comunali fa sì che in alcune realtà le aziende donatrici abbiano diritto ad uno sconto sulla TARI (tassa sui rifiuti) in proporzione alla quantità di beni destinata a donazione.

Attraverso un progetto finanziato dal MIPAAF l’Associazione ha inoltre elaborato una piattaforma tecnologica (“The Avanzers”) in grado di sistematizzare e valorizzare l’approccio collaborativo tra gli attori della filiera produttiva e le organizzazioni che contribuiscono al recupero e alla ridistribuzione delle eccedenze, offrendo uno strumento utile per uniformare e sviluppare il lavoro che da anni le Acli portano avanti.

La terza caratteristica è l’investimento sull’azione preventiva e di sensibilizzazione. In quanto organizzazione di promozione sociale, le Acli accompagnano la loro azione di raccolta e redistribuzione ad azioni di sensibilizzazione, educazione e (in)formazione su una sana e giusta alimentazione, un consumo consapevole, una seria lotta contro lo spreco e l’adozione di stili di vita sostenibili. Per raggiungere questo obiettivo, a luglio si è tenuta la prima edizione del Festival intitolato “Eccediamo. Il Festival del cibo giusto per tutti” che auspichiamo possa diventare un appuntamento annuale di incontro, condivisione, scambio e proposta fra addetti ai lavori, nonché un luogo di sensibilizzazione per la popolazione giovane e adulta.

Lo spreco non è un obbligo, ma una scelta, spesso inconsapevole e veicolata dal mercato. La conoscenza della questione eccedenze offre la possibilità di scegliere e dunque di essere artefice in positivo o in negativo delle sorti della nostra terra. In ultima analisi, sapere è scegliere: un esercizio attivo della cittadinanza.

 

Antonio Russo

Vicepresidente nazionale Acli