A cura di Daniele Rocchetti, delegato nazionale alla Vita Cristiana
Il Ramadàn, il significato, i riti
“Ramadàn karìm”: così, con questa espressione, che significa “Ramadan è generoso”, si salutano vicendevolmente i musulmani di tutto il mondo che domenica scorsa hanno iniziato il mese di digiuno. È un augurio perché ciascuno possa ricevere, in forza dell’astinenza praticata dall’alba al tramonto, i doni spirituali promessi a chi osserva i precetti con retta intenzione. Non a caso, la risposta a questo augurio è “Allah u akram” che significa appunto, “Allah è più generoso”. Secondo la tradizione islamica è proprio durante il mese di Ramadan che è avvenuta la rivelazione del Corano a Maometto: per questo i fedeli pregano e compiono riti per purificare corpo e spirito. Al tramonto il digiuno viene interrotto con un dattero, in ricordo del modo con cui lo spezzò Maometto, o un bicchiere d’acqua a cui poi fa seguito la preghiera e poi il pasto serale (iftar).
Il diritto di professare la propria fede
Saranno quasi un milione e mezzo i musulmani residenti nel nostro Paese che digiuneranno per i trenta giorni del mese, il nono nel calendario lunare islamico. Nonostante la percezione diversa che impera dalle nostre parti, le ultime ricerche dicono che i musulmani in Italia sono il 28% degli immigrati, la cui maggioranza (57,5%) è di fede cristiana. Eppure, come bene ha scritto Maurizio Ambrosini su Avvenire, a questa consistente minoranza non si permette ancora di professare in pace, e anche pubblicamente, la propria fede.
Pur in presenza di un dettato costituzionale che garantisce il diritto di culto, molte sono le limitazioni per i fedeli musulmani. Che sono, nei fatti e nella legge, cittadini i cui diritti fondamentali vanno difesi e rispettati. E tra questi diritti vi è, senza alcun dubbio, la libertà religiosa. La stessa che, giustamente, chiediamo a gran voce ai Paesi dove i cristiani rappresentano una minoranza. Il fatto che la gente, come spesso si ripete, abbia paura, non significa che si debba per forza acconsentire con essa nell’identificare le origini di questa paura. Significa, invece, ragionarci sopra, e soprattutto ragionarci insieme: nel confronto serio delle posizioni, non solo con la ripetizione di slogan facili e populisti. Che certo portano voti ma non aiutano a vincere le paure e a costruire convivenze.
La maggioranza di governo e la maggioranza del paese
Secondo l’Unione delle Comunità Islamiche Italiane, una delle tante organizzazioni che cercano di rappresentare il variegato mondo musulmano, non sono più di venti (e tra questi Bergamo) i grandi Comuni che hanno istituito aree cimiteriali riservate ai musulmani. Scrive Ambrosini: “Nel 2017, dopo lunghe e complesse trattative, il Governo italiano era riuscito a raggiungere un’intesa con le principali associazioni rappresentative dei musulmani del nostro Paese, avviando la costruzione di un “islam italiano”, con guide religiose formate in Italia e impegnate a promuovere “la piena attuazione dei princìpi civili di convivenza, laicità dello Stato, legalità, parità dei diritti tra uomo e donna”. In luoghi come le carceri, dove avvengono anche processi di radicalizzazione religiosa, imam preparati e convinti fautori del dialogo interreligioso sarebbero – e in parte già sono – una risorsa preziosa. Su questa importante materia l’attuale maggioranza politica sembra però afasica. L’accordo di governo in materia prefigura una sorta di ‘comma 22’. Promette la chiusura dei luoghi di culto irregolari, annuncia una legge-quadro sulle moschee, ma richiede anche il coinvolgimento delle comunità locali. Il che significa che se i Comuni negheranno l’assenso, i musulmani o altre minoranze rimarranno prive di luoghi di culto, e quindi di libertà religiosa.”
L’esclusione è rischiosa. Non solo per chi è escluso, ma anche per chi esclude
Insomma, l’aria che tira e che ha il consenso della maggioranza degli italiani (e della maggioranza dei cattolici) va nella direzione della chiusura e della difesa. Nell’illusione di nascondere e allontanare i problemi. Dimenticando che dove non c’è integrazione ma ghettizzazione, emarginazione e risentimento sociale, allora lì è più facile che attecchisca il radicalismo. Dove invece c’è inclusione, accoglienza, ascolto, rispetto, integrazione, crescono comunità religiose capaci di offrire contributi straordinari al consolidamento di tutta la società civile.
Nel frattempo, una proposta ai cristiani delle nostre comunità. Al termine del mese di Ramadan, la sera del 4 giugno, andate a trovare famiglie musulmane della vostra comunità. Portate il saluto e il segno della vostra vicinanza. Lo ripete spesso un esperto di dialogo interreligioso, Brunetto Salvarani: “Senza dialogo, le religioni si aggrovigliano in se stesse oppure dormono agli ormeggi. O si aprono l’uno all’altra o degenerano. E chi non si rigenera, degenera”.