Nicola Fratojanni, in un articolo pubblicato su questa testata, riprende un tema importante quale il finanziamento dei partiti politici. La sua tesi è chiara e semplice: vietare il finanziamento diretto o indiretto (es. con le fondazioni) a soggetti politici da parte di soggetti economici che prestano la loro attività nell’ambito della Pubblica amministrazione. Nulla da eccepire. Ma ammesso che questa regola passi, rimarrebbe comunque sullo sfondo una questione importante: come finanziare oggi i soggetti politici.
Il tema è rilevante, oltre che sul piano politico, anche su quello sociale, perché ha a che fare coi modi con i quali i diversi partiti possono autonomamente stabilire un rapporto con i tanti e differenti soggetti economici e sociali. L’autonomia di ciascuno suggerirebbe di tenere il più possibile separate le sfere, ma la realtà è una sola. Che la politica debba godere di un finanziamento pubblico, credo vada affermato per il bene della democrazia, senza demagogia. Perché senza finanziamento non esisterebbero le attività politiche (e di lì la democrazia) e senza finanziamento pubblico consegneremmo tutto al finanziamento privato, che però si presta facilmente a meccanismi di lobbying. Per garantire un finanziamento pubblico trasparente, ci pare anzitutto opportuno distinguere i partiti dai gruppi consiliari o parlamentari.
I partiti necessitano del diretto concorso/consenso dei cittadini. Pertanto il meccanismo del 2×1000, già in vigore, va bene così: consente di godere di soldi pubblici grazie a cittadini privati. Il problema è che questo meccanismo presenta scarsi risultati, perché la parte maggiore dei contribuenti non sceglie di versare. Per questo si aprono due possibilità; utilizzare la stessa distribuzione dell’8×1000 (che trasferisce il “campione” dei coraggiosi a tutto l’universo dei contribuenti) ovvero curare meglio le campagne pubblicitarie di raccolta dei fondi. Un vantaggio di quest’ultimo modo di procedere consentirebbe di riproporre dei partiti più solidi, più organizzati territorialmente e forse anche più stabili, in quanto depositari di un patrimonio, ovviamente tutto da rendicontare in modo trasparente. Una campagna pubblicitaria richiede sempre un pensiero, una linea e soprattutto una motivazione scegliendo temi importanti e popolari. Se opportunamente sollecitato, magari questo modo diventa un mezzo per riabilitare la funzione dei partiti politici.
Caso diverso invece per l’attività dei gruppi parlamentari e consiliari, che potrebbero più facilmente rifarsi a norme di tipo europeo in tema di rimborsi e attività: con supporto per studi, ricerche, di segreteria e di assistentato a carico delle assemblee legislative e consiliari, con norme precise di rendicontazione e rigidi controlli ed albi per il personale.
Tutto qua. Sono solo due idee a completamento della proposta che altri hanno fatto. A noi tocca solo dire che una società complessa come la nostra non può nascondere o fare demagogia sul tema del finanziamento della politica. Bisogna che prima o poi si apra un pubblico dibattito, se non si vuole continuare ad alimentare la corruzione (che, tra l’altro, una volta riguardava prevalentemente il finanziamento dei partiti e ora invece solo quello individuale e familiare) o strane vicinanze e collateralismi che non aiutano né il corpo sociale né il corpo politico a crescere in modo sano e corretto.