Di Daniele Rocchetti, delegato nazionale alla Vita Cristiana
Dimenticare il Natale senza Natale
“In questo periodo d’Avvento, difficile evitare i sinistri villaggi/mercatini di Natale. Non c’è città di Francia che sfugga a questo contagio. A parte, evidentemente, Strasburgo, dove la forza della tradizione conferisce loro una certa dignità, siamo condannati ad errare nei centri storici delle città tra casette di legno che imitano baite montane (ma che rapporto ci può essere con la nascita di un uomo avvenuta in Medio Oriente duemila anni fa?), guardando stancamente la distesa di cianfrusaglie inutili made in China, e mangiando la nostra mela caramellata tutta rossa. Per non parlare della musica, un “Vive le vent” (ndr.: canto sulle note di “Jingle bells”) ripetuto fino allo sfinimento, poiché ci si guarda bene dal mettere qualche cantico della Natività. Ben presto, nella folla compatta, l’odore di vin brulé e di cannella diventa insopportabile, a meno di berne abbastanza per dimenticare: dimenticare il Natale del nostro secolo, con i brillantini, gli abeti addobbati e la musica sdolcinata, ma senza la stella e il presepe. Dimenticare questo Natale senza Natale…” Così scrive Isabelle de Gaulmyn, vaticanista del quotidiano francese La Croix. Un’analisi impietosa che credo valga anche per il nostro contesto italiano.
Il presepe secondo Papa Francesco
Al termine dell’articolo, sono andato a rileggermi “Admirabile signum”, la lettera apostolica sul presepe che Papa Francesco ha firmato il 1 dicembre scorso durante la sua visita a Greccio, il piccolo comune di Rieti, dove nel 1223 per iniziativa di Francesco d’Assisi si ebbe una rievocazione sacra della nascita di Gesù.
La storia, ricordata dalle Fonti Francescane, è richiamata dal Papa:
Quindici giorni prima di Natale, Francesco chiamò un uomo del posto, di nome Giovanni, e lo pregò di aiutarlo nell’attuare un desiderio: «Vorrei rappresentare il Bambino nato a Betlemme, e in qualche modo vedere con gli occhi del corpo i disagi in cui si è trovato per la mancanza delle cose necessarie a un neonato, come fu adagiato in una greppia e come giaceva sul fieno tra il bue e l’asinello”
Il Papa ricorda come il santo di Assisi voleva far sentire a tutta la popolazione che essa stessa era “coinvolta nella storia della salvezza, contemporanea dell’evento che è vivo e attuale nei più diversi contesti storici e culturali”. Come a dire: “Non c’è bisogno di andare fino a Betlemme, è qui ed ora che questa cosa avviene!”Ancora il papa nella sua bellissima lettera:
In modo particolare, fin dall’origine francescana il presepe è un invito a “sentire”, a “toccare” la povertà che il Figlio di Dio ha scelto per sé nella sua Incarnazione. E così, implicitamente, è un appello a seguirlo sulla via dell’umiltà, della povertà, della spogliazione, che dalla mangiatoia di Betlemme conduce alla Croce. È un appello a incontrarlo e servirlo con misericordia nei fratelli e nelle sorelle più bisognosi (cfr Mt 25,31-46).
Dove trovare le tracce di Dio che nasce come un cucciolo d’uomo?
La domanda che pone il Papa è la domanda che ogni credente in questo tempo deve porsi: dove trovare le tracce del Dio dei cristiani che sceglie di nascere come ogni cucciolo d’uomo? Dove trovare i segni di un Dio che ama il paradosso se, come scrive Leonardo Boff, “tutti vogliono crescere nel mondo, ogni bambino vuole essere uomo. Ogni uomo vuole essere re. Ogni re vuole essere “dio”. Solo Dio vuole essere bambino.” La giornalista francese non ha dubbi: sicuramente, il bambino e il presepe bisogna andare a cercarli altrove.
In quell’ospedale parigino, ad esempio, che la settimana scorsa, per mancanza di spazio, ha dovuto rifiutare una decina di giovani madri senzatetto che erano andate a rifugiarvisi con i loro bambini. E nelle maternità delle nostre grandi città, sopraffatte dalla quantità di donne che hanno partorito e che dormono nei corridoi. Nelle nostre strade, molto semplicemente, dove nascono sempre più bambini: quest’anno sono già 146, e le associazioni caritative si trovano a dover distribuire culle portatili. Sono presepi poco estetici, bambini con nasi gocciolanti. madri esauste, sporcizia, puzza, freddo. Sono presepi che non fanno venire voglia di fermarsi, di ammirare, e neppure di commuoversi. Si vorrebbe piuttosto guardare da un’altra parte, imbarazzati.
Quei presepi – basta avere occhi per vederli, anche dentro la nostra opulenta Bergamo – sono scandalosi. Testimoniano con violenza la miseria e l’esclusione. Ci parlano di mancanza, capovolgono le nostre prospettive, ci ricordano i più poveri, i dimenticati. Quei presepi sono terribili, ma veri: a modo loro, anch’essi ci dicono che siamo implicati nella storia della salvezza. Qui ed ora.