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Dopo le elezioni e in attesa del nuovo governo. I cattolici non contano più nulla

Pasqua. Tempo di angoscia e di fiducia. Anche per i cattolici italiani

Le elezioni del 4 marzo scorso hanno sancito, in modo netto ed equivocabile, non solo l’irrilevanza del cattolicesimo in politica ma soprattutto l’irrilevanza della Chiesa a modificare i comportamenti sociali nei confronti della politica. I risultati, in tutta Italia ma soprattutto dalle nostre parti ritenute un tempo feudi cattolici, rendono evidente la netta distanza tra la linea della Chiesa su alcuni temi forti e le scelte dell’elettorato cattolico. Che va da tutt’altra parte e senza grossi patemi d’animo. Omelie da una parte, Paese e maggioranza della gente dall’altra. È lo sconforto ascoltato in queste settimane da molti preti che ho incontrato: “Ma quale Vangelo annunciamo? Che comunità abbiamo di fronte? Non contiamo più nulla”. Altri preti il problema non se lo pongono, convinti che un conto sia l’annuncio del Vangelo, un conto siano le scelte che ciascuno liberamente sente di poter fare. Anche se appaiono lontano da esso.

 

Il cattolicesimo di Salvini vince sul cattolicesimo di Papa Francesco

La scoperta non è di oggi: i cattolici nel nostro Paese sono da tempo una minoranza e solo l’illusione – molto diffusa nelle scelte pastorali che ancora si fanno, non nelle auto narrazioni – di poter contare ancora, in virtù di una storia gloriosa alle spalle, e la paura di fare i conti con scenari inediti, ha mascherato un dato di fatto che viene periodicamente a galla. Sia nell’ambito morale – dove i più dispongono scelte a prescindere dall’appartenenza religiosa – sia nell’ambito politico. Come ha scritto Piergiorgio Cattani:

Un solo esempio, forse il più lampante. La travolgente avanzata leghista è avvenuta proprio durante il pontificato di papa Francesco che predica valori e atteggiamenti totalmente contrastanti da quelli di Salvini. Il Rosario e il Vangelo di papa Francesco non sono quelli che brandisce il leader leghista. Ma gli italiani, i cosiddetti cattolici, persino i fedeli praticanti, chi hanno ascoltato di più? Dove sono i buoni propositi delle Settimane sociali, dei convegni sulla Dottrina sociale della Chiesa? Vince un cristianesimo identitario, nazionalista, integralista: una novità per l’Italia.

 

Le omelie non bastano

Per ridare anima alle città e corpo al Vangelo, credo che ci aspetti un lungo lavoro. Anzitutto, ricominciando a costruire – dentro le comunità cristiane – luoghi ed esperienze dove provare a mettere a confronto la fede con la vita. Avere il coraggio di sostenere chi cerca di tradurre il Vangelo sporcandosi le mani con progetti e percorsi; avviare sperimentazioni, aprire confronti liberi, non esorcizzando il pluralismo ecclesiale ma sfidando ciascuno a misurarsi con forme storiche e laicamente comprensibili a tutti che rendano visibili i criteri che il Vangelo pone; accompagnare i cammini indicando pensieri lunghi, prospettive, riferimenti che tengono insieme la gente. Insomma, non bastano omelie.

Perché l’attuale cambiamento storico è profondo e non superficiale; è irreversibile e non provvisorio; apre una nuova pagina di storia dell’umanità. Una pagina nella quale è inutile voler copiare le stesse parole delle pagine precedenti ma nelle quali è invece necessario far vivere lo stesso spirito. Ecco perché anziché difendere tante cose secondarie bisogna riscoprire e far rivivere quelle essenziali, e solo quelle. Come un pellegrino che deve compiere un lungo cammino e che deve mettere nella sua bisaccia tutte e solo le poche cose essenziali. Per questo credo che più ancora, pur nelle lacerazioni e nel dolore che procurerà, serve una rigenerazione spirituale. Radicale, profonda.

 

Angoscia e fiducia. Fede nuda e senza puntelli

Siamo nei giorni di Pasqua, giorni del nascondimento, dell’angoscia di non contare nulla e, insieme, dell’abbandono fiducioso, del seme che muore e porta frutto. Come non tornare alle lucidissime parole di don Giuseppe Dossetti? Come fare in modo che costituiscano – davvero – un ricominciamento sulle macerie di un mondo che non torna più?

Vivremo sempre di più la nostra fede senza puntelli, senza presidi di sorta, umanamente parlando. Destinati a vivere in un mondo che richiede la fede pura. Potremo attingere soltanto alla fede pura, senza poggiare in nessun modo su argomenti umani. Nessuna ragione, nessun sistema di pensiero, nessuna organicità culturale, nessuna completezza e forza di pensiero organico, costruito, potrà presidiare la nostra fede. Sarà fede nuda, pura, fondata solo sulla parola di Dio considerata interiormente. Non potremo attingere a niente, a nessuna sintesi, a nessuna summa. E non avremo il conforto in nessuno dei piccoli nidi sociali che siano omogenei e sostengano la nostra vita evangelica. Come non lo avremo più nessuno di noi nel nostro Paese. Quegli ultimi nidi, quelle ultime nicchie “covanti” ed un poco facenti calore, un certo tepore… sarà molto difficile che si riproducano. E invano si cercherà di riprodurli.”

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