Passione del Signore
Vivere la Pasqua a Gerusalemme, a cura di Maria Chiara, piccola sorella di Gesù
Il punto di osservazione per me stando qui è la VI stazione della Via crucis, nel cuore della città vecchia di Gerusalemme, uno dei punti cruciali di passaggio per molti che vanno al S. Sepolcro, al Muro del Pianto o alla Moschea. Non è solo un punto di osservazione, ma un modo particolare di vivere sia il quotidiano che i tempi forti dentro alla realtà attuale di Gerusalemme.
Nonostante questo privilegio, ritengo che, come per chi viene in pellegrinaggio, anche per me che vivo qui si tratti ogni volta di “intraprendere un viaggio verso Gerusalemme”, come Gesù, “prendendo la ferma decisione”. (Lc 9) Entrare nella Pasqua cristiana a Gerusalemme mi richiede uno spostamento dal tempo quotidiano al tempo segnato dall’Ora che si compie per Gesù, che mi rimanda e rimanda ciascuno alla propria “ora”. Per questo chiede la “ferma decisione” o “l’indurimento del volto” come dice il vangelo (Lc 9,51). Nessuno infatti entra con superficialità nell’ora del dolore o della prova che va fino alla morte.
Se guardo a ciò che avviene nella città di Gerusalemme oggi, e cioè la celebrazione cronologica, prima della Pasqua ebraica, e poi della Pasqua cattolica (nella diversità di riti di ciascuna chiesa cattolica: latina, greco cattolica, maronita, siriaca ecc.) e della Pasqua ortodossa, anch’essa con i suoi diversi riti, non posso non essere colpita da una certa intensità di preghiera e solennità di celebrazioni, ciascuno secondo le sue tradizioni. A turno, i fedeli locali e i pellegrini di tutte le nazionalità, sfilano nella Città Santa con i loro canti e preghiere, a volte le loro danze, o le loro lacrime, per manifestare la partecipazione al Mistero celebrato. È uno “spettacolo” che mi tocca, mi commuove, mi fa avvertire che qualcosa più grande di noi è avvenuto in questi luoghi e continua ad avvenire nella mia vita, al di là di ciò che ne capisco. Non posso restare indifferente a queste espressioni sincere di fede e di appartenenza ciascuno alla propria comunità, dove a nessuno verrebbe in mente di vergognarsi o ancor peggio di rinnegare la propria tradizione religiosa. Espressioni che possono a volte tradire anche una certa ambiguità, e diventare un’occasione per affermare la propria presenza, la propria identità, la propria diversità, più in contrasto che in apertura e armonia con la presenza degli altri. Ed è impossibile vivendo qui dimenticare lo stato di perenne tensione politica e religiosa di Gerusalemme, acutizzato proprio nei momenti di più grande intensità festiva e religiosa. Paradossalmente, a celebrazioni finite, in comunità ringraziamo Dio perché “nulla di grave è accaduto” quando non ci sono stati incidenti rilevanti, dimenticando a volte che proprio “il più grave”, e il più denso di speranza per ogni uomo della terra è accaduto qui. E che forse per questo Gerusalemme, nella sua caratteristica inquietudine, continua a portarne misteriosamente i segni.
Se mi addentro di più nel contesto, qui nella città vecchia di Gerusalemme, nei luoghi santi della Via Crucis e della Chiesa della Risurrezione, se osservo ciò che realmente succede durante i giorni della Pasqua, posso essere un po’ travolta dal caos provocato, oltre che dal numero impressionante in questi anni di pellegrini e turisti, anche dalle grida del suq i cui negozi rimangono aperti perché in maggioranza musulmani, dalla presenza, più numerosa del solito in quei giorni, dei soldati israeliani, che dovrebbero garantire un certo ordine e preservare lo statu quo delle celebrazioni, e che alla fine aumentano il peso e la tensione di presenze nelle strette vie della città.
Cosi, se mi fermo a “contemplare” i diversi volti e le diverse realtà, posso ritrovare forse qualcosa della Pasqua di Gesù, in cui commercianti, soldati romani, pellegrini, donne e gente del popolo si sono trovati sulla strada dell’Uomo condannato, ognuno agendo e reagendo diversamente. In quella folla, come in uno specchio, posso ritrovare anche qualcosa di questa realtà e di me stessa, nei miei diversi atteggiamenti di fronte al Mistero della Morte dell’Innocente. Qui siamo lontani, e quanto!, da celebrazioni intime, magari in luoghi privilegiati e silenziosi che predispongono al raccoglimento. Tutto invece sembra muoversi e gridare, come se ciò che accade in quei giorni suscitasse una certa frenesia e facesse saltare i limiti di ciò che è solo personale, individuale. Mi sento come trascinata dentro un clima che lascia poco spazio a sentimenti ed emozioni proprie. Nonostante ciò, sono come riportata a me stessa.
Da qui vedo e sento chi prega e chi piange, chi cerca di raccogliersi e ritrova se stesso in quella Croce, chi canta e danza per la liberazione promessa, chi passa completamente indifferente, chi si occupa dei suoi affari come se nulla fosse, chi compra e chi vende, chi spera di guadagnarci, chi osserva da lontano, chi deride, chi sta in silenzio, chi opprime e chi è oppresso, chi si volta dall’altra parte, chi mendica, chi non dà importanza, chi non sa o non vuole sapere, chi crede che sia folklore, chi non vuole credere all’evidenza… Atteggiamenti diversi che rispecchiano la mia anima e i vari momenti della mia vita.
Potrei interrogarmi: in quale personaggio della Passione mi ritrovo di più oggi? E qual è il mio atteggiamento, che cosa si muove in me di fronte alla Morte dell’Innocente e degli innocenti? Nessuno, e io la prima, può dirsi, né dovrebbe sentirsi “neutro” in rapporto a quell’avvenimento che, oggi come ieri, rimanda al mistero del male nel mondo e alla nostra personale partecipazione a questo male. Per questo sento che è difficile prendere la ferma decisione di andare, o restare, a Gerusalemme in quei giorni. La ferma decisione di avvicinarmi a quell’Ora, di partecipare senza fuggire a quel momento di drammatica verità su di me e sulla mia vita.
Qui, alla VI Stazione, secondo la tradizione, la Veronica ha asciugato il volto di Gesù. Di solito si dice che è un gesto di compassione per l’uomo torturato e sfinito che si è trovata davanti, e diventa così un esempio per il nostro essere cristiani. Ed è sicuramente vero. Ma immagino anche, per un momento, la situazione al rovescio, non solo lui che riceve la compassione di lei, ma lei che riceve qualcosa da lui. Che cosa le ha impresso dentro silenziosamente quel volto, che cosa ha letto in quello sguardo, che cosa quello sguardo ha detto di lei e della sua vita? Per saperlo devo forse fare la stessa esperienza, lasciarmi guardare da Colui e anche da coloro che passano accanto a me, a noi, condannati e rifiutati. La VI Stazione è considerata la casa della Veronica. Non è andata a cercarlo, ma non si è rifiutata a quell’incontro. Anche per me non c’è bisogno di andare molto lontano per incontrarLo e incontrarli, se lo voglio.
E se credere fino in fondo al Mattino del terzo giorno, alla Vita che attraversa la morte, credere oggi alle conseguenze di quel Mattino per la mia vita personale, per la Chiesa e per il mondo intero, passasse da quel “lasciarmi guardare”? Se il coraggio e la fede, la conversione necessaria al “lasciarmi guardare” da quell’Uomo crocifisso e risorto per me, riconoscendoLo poi negli altri a Sua immagine, fosse non un dono tra gli altri che ricevo, ma “il dono” della Pasqua del Signore? Lasciarmi infine guardare da un Amore che non si impone a me, alla mia vita, ma umilmente e tenacemente si offre, perché io faccia altrettanto…