Dal vangelo secondo Matteo (Mt 10, 37–42)
In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli: «Chi ama il padre o la madre più di me non è degno di me; chi ama il figlio o la figlia più di me non è degno di me; chi non prende la sua croce e non mi segue, non è degno di me.
Chi avrà trovato la sua vita, la perderà: e chi avrà perduto la sua vita per causa mia, la troverà.
Chi accoglie voi accoglie me, e chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato.
Chi accoglie un profeta come profeta, avrà la ricompensa del profeta, e chi accoglie un giusto come giusto, avrà la ricompensa del giusto.
E chi avrà dato anche solo un bicchiere di acqua fresca a uno di questi piccoli, perché è mio discepolo, in verità io vi dico: non perderà la sua ricompensa». [Ritorno a capo del testo]
Giudicati solo sull’amore
A cura di don Giovanni Nicolini, assistente spirituale delle Acli Nazionali
Questo vangelo parla del nostro rapporto con Dio, ma si percepisce un certo imbarazzo nella versione italiana di questo Vangelo, che usa la parola “degno”. Questo imbarazzo deriva dal fatto che nella parte iniziale cita l’amore, il nostro essere degni sembra qui essere legato all’amore. Ma allora qui non è che Dio esprime un giudizio morale su di noi perché non riusciamo ad amare. Semmai, Dio riconosce una nostra incapacità, fragilità, nel fatto che non riusciamo ad amare. Allora nel comprendere questo Vangelo bisognerebbe puntare su questa esigenza assoluta, che noi sentiamo, di un grande amore, anche quando non ne siamo capaci. Infatti io posso essere fragilissimo, prigioniero di un peccato, posso essere uno che ha perso la partita della sua vita, ma ancora ama con tutto il cuore, intensamente. Questa potenza dell’amore è, effettivamente, cosa nostra. Certo, riconosciamo anche il dono di Dio in questa potenza, ma mi pare che noi possiamo constatare non solo la potenza del suo amore, ma anche la potenza, la totalità del nostro impegno del cogliere l’amore e restituirlo. In ciò, si tratta effettivamente di una questione morale: io ho questa responsabilità, altissima, di corrispondere all’amore di Dio con il mio amore. In quell’amore di cui sono capace, poi, ci saranno moltissimi limiti, ma c’è anche la cosa che più conta. È vero che l’amore qualifica in modo privilegiato Dio, che Dio è amore secondo le scritture. Ma questo regalo che Lui fa a me amandomi, costituisce anche me come creatura nuova, e quindi amare diventa anche per me un’esigenza fortissima. Non sarò salvato per la mia virtù, che non ho, o perché riuscirò a dare via quello che ho o che sono. Ma, forse, sarò salvato perché lui avverte l’insistenza, la forza, anche la disperazione talvolta, del mio amore per lui. Sono niente, capace di niente, ma lo amo.