Dal vangelo secondo Luca (Lc 18,9-14)
In quel tempo, Gesù disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri:
«Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano.
Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo”.
Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”.
Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato».
Farsi poveri, per saper pregare
A cura di don Andrea Volta, accompagnatore spirituale Acli Parma
Gli uomini partecipano tutti della stessa impotenza e sono solidali nello stesso stato di rottura con Dio. Il primo atto di verità che l’uomo deve compiere è riconoscersi peccatore, impotente a salvarsi, e aprirsi quindi all’azione di Dio.
Il testo del Siracide dice espressamente che “Il Signore è giudice e non v’è presso di lui preferenza di persone” ( Sir. 35,12). L’offerta da fare a Dio , è necessario ricordare che il valore del dono non dipende dalla sua abbondanza , ma dalle disposizioni del cuore “ la preghiera dell’umile penetra le nubi” ( Sir. 35,17°).
Nel Vangelo – continuando sul tema della preghiera già affrontato domenica scorsa- si risponde ora sul “come” si deve pregare.
Nella parabola ci sono due modi di concepire l’uomo e il suo rapporto con Dio. La preghiera del fariseo è un rendimento di grazie a Dio. Solo apparente però. In realtà è un pretesto per lodare se stesso e non Dio, compiacersi di sé per la mancanza di ogni peccato e per il merito delle buone opere, in forza delle quali si ritiene giustificato ed “esige” da Dio la ricompensa. La preghiera del fariseo “non è “ preghiera.
Il pubblicano invece è nella verità: è consapevole della sua colpa e di non avere meriti di fronte a Dio. Chiede la grazia, la sua è vera preghiera.
Deve colpirci e farci riflettere la postura del loro corpo, il fariseo sta in piedi di fronte a Dio, è sicuro di sé, vanta quelli che ritiene i suoi meriti di fronte a Dio. Non otterrà la salvezza perché “pensa” di meritarla.
Il pubblicano fermatosi a distanza, avverte lo scarto tra il suo agire e la volontà di Dio, prova vergogna, non alza nemmeno gli occhi al cielo, si batte il petto in segno di contrizione ed esce con una frase stupenda: “O Dio, abbi pietà di me peccatore” ( Lc 18,13b). Egli ottiene la salvezza perché crede che essa può essere unicamente dono di Dio.
Cerchiamo dunque di entrare esistenzialmente nell’affermazione del ritornello del Salmo 33, “Giunge al tuo volto, Signore, il grido del povero”, una povertà talmente percepita della nostra persona da divenire invocazione autentica ed ottenere salvezza.