Dal vangelo secondo Matteo (Mt 4,12-23)
Quando Gesù seppe che Giovanni era stato arrestato, si ritirò nella Galilea, lasciò Nàzaret e andò ad abitare a Cafàrnao, sulla riva del mare, nel territorio di Zàbulon e di Nèftali, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta Isaìa: «Terra di Zàbulon e terra di Nèftali, sulla via del mare, oltre il Giordano, Galilea delle genti! Il popolo che abitava nelle tenebre vide una grande luce, per quelli che abitavano in regione e ombra di morte una luce è sorta». Da allora Gesù cominciò a predicare e a dire: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino». Mentre camminava lungo il mare di Galilea, vide due fratelli, Simone, chiamato Pietro, e Andrea suo fratello, che gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. E disse loro: «Venite dietro a me, vi farò pescatori di uomini». Ed essi subito lasciarono le reti e lo seguirono. Andando oltre, vide altri due fratelli, Giacomo, figlio di Zebedèo, e Giovanni suo fratello, che nella barca, insieme a Zebedeo loro padre, riparavano le loro reti, e li chiamò. Ed essi subito lasciarono la barca e il loro padre e lo seguirono. Gesù percorreva tutta la Galilea, insegnando nelle loro sinagoghe, annunciando il vangelo del Regno e guarendo ogni sorta di malattie e di infermità nel popolo.
“Galilea delle Genti”
A cura di don Davide Carbonaro, assistente spirituale delle Acli di Roma
Eccolo il Messia attesa da Israele, accennato dalla speranza dei popoli, Gesù: Dio salva. Uomo uscito dal silenzio dei trent’anni di Nazareth, impastato del quotidiano, intessuto di quelle aspettative che germogliano nel cuore di ogni giovane che si apre al futuro. Lo hanno atteso le acque del Giordano che discende fino al punto più basso della terra. È Lui, il Figlio proclamato dalla Voce del Padre che viene dall’alto, riemergendo carico della nostra fragile umanità. Da lui traspare quella luce destinata ad evangelizzare la storia. Comincia così, il pellegrinaggio terreno del Figlio di Dio, come racconta l’Evangelista Matteo, che in questo anno liturgico accompagnerà il nostro cammino di discepoli, dietro a Gesù. Lo seguiamo anche noi, desiderosi di Vangelo, di buona notizia, in questo tempo in cui la bontà e la bellezza sono imprigionate dall’apparenza; la comunicazione è segnata dalla precarietà e dall’inconsistenza. Paolo ne è consapevole. Scrivendo alla comunità di Corinto, fa appello non alla forza di una parola che passa, ma alla croce di Cristo che la rende stabile. Gesù e Paolo hanno compreso che bisognava cominciare dalle periferie, da quel meticciato crocevia di culture, tradizioni religiose, razze e lingue, che costituiscono la complessità dell’umano di sempre. Gesù, carico della Luce che viene dal mistero e della Parola che esce dal silenzio, s’immerge, afferma Matteo: nella “Galilea delle Genti”. La Parola ed il Gesto di Gesù si fanno spazio dove l’uomo vive, soffre, muore. Ecco che Matteo sintetizza in tre parole l’agire del Rabbi di Nazareth, in mezzo all’umanità di ieri e di oggi: Insegna, annuncia e guarisce. Non ne possiamo fare a meno. Quando la Chiesa si riappropria di questo evangelico agire, è libera ed è liberante: spezza il giogo dell’arrogante potere dei grandi della terra, affranca le spalle sovraccariche dei poveri e degli oppressi, risponde con la misericordia al bastone degli aguzzini. Fu sufficiente lo sguardo penetrante e l’imperativo: “Venite dietro a me” ad affascinare quelle coppie di fratelli lungo il mare di Galilea. Ancora oggi il suo sguardo e l’imperativo della sua parola attraggono uomini e donne desiderose di cambiare mentalità, di sentire che Dio è prossimo e non ha abbandonato la nostra umanità nel vuoto della sua sorte. Oggi come allora Gesù si fa vicino. Questo è il senso del “regno dei cieli”. Non una istituzione terrena, né una compagnia di buoni e perfetti, ma un drappello spesso malconcio di cercatori del vero e del bello, innamorati di Dio. Gesù non chiede a Pietro ed Andrea; a Giacomo e Giovanni; a me e a te, di cambiare mestiere. Non possiamo dismettere il nostro “mestiere” di uomini e donne. Quelle “reti” lasciate sul lago sono il segno di un umanità vecchia, legata ai propri egoismi, la quale chiede di seguire l’uomo nuovo, ancora oggi visibile sui confini della terra.