Dal vangelo secondo Matteo (Mt 20,1-16)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola:
«Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all’alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna. Si accordò con loro per un denaro al giorno e li mandò nella sua vigna. Uscito poi verso le nove del mattino, ne vide altri che stavano in piazza, disoccupati, e disse loro: “Andate anche voi nella vigna; quello che è giusto ve lo darò”. Ed essi andarono. Uscì di nuovo verso mezzogiorno e verso le tre, e fece altrettanto. Uscito ancora verso le cinque, ne vide altri che se ne stavano lì e disse loro: “Perché ve ne state qui tutto il giorno senza far niente?”. Gli risposero: “Perché nessuno ci ha presi a giornata”. Ed egli disse loro: “Andate anche voi nella vigna”.
Quando fu sera, il padrone della vigna disse al suo fattore: “Chiama i lavoratori e dai loro la paga, incominciando dagli ultimi fino ai primi”. Venuti quelli delle cinque del pomeriggio, ricevettero ciascuno un denaro. Quando arrivarono i primi, pensarono che avrebbero ricevuto di più. Ma anch’essi ricevettero ciascuno un denaro. Nel ritirarlo, però, mormoravano contro il padrone dicendo: “Questi ultimi hanno lavorato un’ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo”.
Ma il padrone, rispondendo a uno di loro, disse: “Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse concordato con me per un denaro? Prendi il tuo e vattene. Ma io voglio dare anche a quest’ultimo quanto a te: non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?”. Così gli ultimi saranno primi e i primi, ultimi».
Un perdono illimitato
A cura di don Cristiano Re, assistente spirituale delle Acli di Bergamo
Le pagine che ci vengono regalate durante le messe di queste domeniche, ci raccontano quale è il desiderio di Dio quando pensa alla comunità, cosa sia “Chiesa”, per come l’ha pensata Lui, e come siamo chiamati a vivere, mentre tentiamo di essere discepoli, per essere davvero “comunità riunita” dalla Parola e dal bene di Dio. Sono passaggi che vanno a raccontarsi a partire da pezzi veri della vita degli uomini, da momenti delle storie di tutti i giorni della vita delle persone. È sempre meraviglioso vedere come Dio per dire se stesso e noi assieme a lui ed ai fratelli, non vada ad inventarsi strane teologie o filosofie, ma parta sempre dalle storie di noi uomini. Davanti al Vangelo di oggi ci verrebbe da dire che queste sono cose da Dio, non cose che riguardano le reali possibilità e scelte degli uomini.
Non funziona così da noi e per noi; forse pensiamo che non solo non possa, ma addirittura non debba funzionare cosi, e certamente oggi più che mai, coi tempi che corrono, non abbiamo tutti i torti a pensarla così e quando mi trovo davanti questo brano, la prima reazione è che non capisco proprio perché, e resto un poco disorientato. Credo proprio che anche io direi come i servi della prima ora: “ Ma come? Questi ultimi hanno lavorato un’ora soltanto e li hai trattati come noi”. Insomma pare proprio chiaro che non è giusto pagare allo stesso modo chi ha lavorato un’ora soltanto e chi ha fatto giornata. Non so, forse è proprio il profondo bisogno di provare a tornare alle cose importanti, essenziali, a quei profondi passaggi di vita vera a portarci qui oggi. Forse è proprio il bisogno di andare oltre ciò che è ovvio, il sentire che oltre l’ovvio, ci sta ciò che è più vero, più profondo, ciò che rende davvero speciale la nostra vita. E ciascuno di noi, a suo modo, sente che ciò che è speciale muove il desiderio, ha a che fare con la chiamata ad essere uomini e donne felici. E Dio c’entra con questo, dice qualcosa anche di questo.
L’ovvietà avrebbe voluto che il padrone dicesse: “bene, un denaro ai primi, e poi via via a scalare.” Questo è ciò che è ovvio. Ma noi siamo qui non per sentire cose ovvie, ma cose vere. E ci accorgiamo che la parabola ci porta fuori dai binari della giustizia umana per portarci su quelli di una logica diversa, quella di Dio. Guai a voler continuamente riportare Dio nei nostri binari. La logica di Dio va oltre, non nel senso che è contro la giustizia, ma non si lascia imprigionare nei vestiti stretti della nostra giustizia, basata sul criterio della proporzionalità.
Penso anzitutto a me e capisco bene che veniamo da una educazione che ci ha abituati a vivere le relazioni secondo quel criterio di giustizia in cui ciascuno riceve in base a quello che fatto, nel bene o nel male. Faccio fatica a pensare che il modo di agire di quello strano signore del Vangelo possa davvero essere il mio; possa riconoscersi in un sincero, spontaneo e buon modo di agire e pensare che sia il mio. Eppure questo è lo stile con cui Dio sta con l’uomo, quello che propone di vivere a ciascuno di noi… Ci penso e capisco che questo modo lascia in me di più la sensazione di ingiustizia che, il sentimento bello di sentire quanto Dio è grande e generoso. Capisco che ci sono passaggi profondi da indagare dentro di noi. Profondi perché dicono chi siamo davvero; “Che persone siamo” rispetto a “quello che vorremmo essere…”.
Capisco che ho dentro tante belle idee, tanta tensione verso l’avere rapporti liberi da interessi o pesantezze un po’ egoistiche, rapporti seriamente gratuiti. Dentro alla testa, ci sono idee importanti sull’accoglienza, su sentire che gli altri sono un grande dono, sul desiderare che tutti abbiano pari possibilità di vita, dignità, che abbiano tutti gli strumenti per compiere i passi verso la felicità. Ho e abbiamo tante belle cose in testa, ma poi. Ma poi saltano fuori i movimenti profondi che volenti o nolenti ci portiamo dentro. Capisco ad esempio che spesso mi trovo legato alla logica dell’ “a ciascuno il suo”. Del desiderio che si possa sempre ristabilire la parità. Che la giustizia abbia soprattutto a che fare con delle regole da rispettare che ristabiliscano l’equilibrio tra il giusto e lo sbagliato, tra il dare e l’avere. Forse questo potrebbe anche bastare se noi ci fermiamo alla nostra testa di uomini, al nostro piccolo cuore di uomini.
È che poi arriva la Parola, con la quale ci confrontiamo e dalla quale ci facciamo interrogare, e ci sconvolge dal di dentro dicendoci che Dio ci ha da sempre sognato come capaci di un modo più grande di pensare, di sentire, di amare. Ci pensa capaci di una giustizia superiore. Di quel progetto originario in noi impresso dal Signore stesso mentre ci creava a sua immagine e somiglianza. Ma noi siamo accontentati di molto meno. E così la vita è diventata una corsa continua per dire che l’uno vale più di un altro, l’uno ha più di un altro. Non è un caso che gli operai chiamati a giornata non si lamentano perché non hanno ricevuto quanto pattuito ma perché quello strano padrone ha trattato tutti allo stesso modo, senza alcuna differenza. È proprio l’annullamento della differenza a suscitare la loro arrabbiatura. A tema c’è proprio il modo di guardare le cose, i rapporti, la vita. Con quale occhio valuti?
Con l’occhio cattivo della pretesa o con quello di chi gioisce che a tutti sia stata data la possibilità di sedere alla stessa mensa, di portare a casa la pagnotta per la famiglia? Nessuno di noi vale per quello che riesce a produrre ma per quello che è. Vado a pescare tra le immagini più normali e direi universali della vita di ciascuno di noi. E penso a mia madre o mio padre, penso agli amici, alle persone che mi vogliono bene e mi accorgo dell’infinità di volte che essi mi hanno dato tanto al di la di quello che mi ero stato capace di guadagnare. Tanto di più di quello che mi meritavo.
Penso che nessuna madre o padre, sta a fare il calcolo sui suoi figli in base ai “risultati” che essi portano a casa per provvedere meglio per un figlio che ne riporta buoni e dare molto meno a quello che non riesce. Per fortuna non funziona così; e siccome entrambi sono figli, cercherà di dare il meglio a ciascuno. Così per Dio, quello che conta è l’esserti lasciato guardare e raccogliere dal suo amore, aver accolto l’invito a fare il tuo pezzo nella sua vigna. In qualunque momento della tua vita e in qualsiasi circostanza. Così è per il bene vero che sappiamo o tentiamo di regalare a chi ci sta nel cuore e a chi ci è fratello. Il desiderio che essi sappiano lasciarsi raccogliere dal nostro amore e dicano di si. A Dio chiediamo di saper essere sempre figli sapienti del suo bene di papà per noi; di quanto questo sia enormemente più grande di noi e di quello che possiamo fare per meritarcelo, per guadagnarcelo. A Dio chiediamo di non lasciarci mai tristemente disoccupati, incapaci di sentire la sua chiamata e seduti su qualche marciapiede della vita a dirci “ nessuno ci ha preso a giornata…”. A Dio chiediamo di saper essere sempre così con i nostri compagni di strada e di vita, con chi è per noi figlio e fratello.