Dal vangelo secondo Giovanni (Gv 2,1-12)
In quel tempo, vi fu una festa di nozze a Cana di Galilea e c’era la madre di Gesù. Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli.
Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: «Non hanno vino». E Gesù le rispose: «Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora». Sua madre disse ai servitori: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela».
Vi erano là sei anfore di pietra per la purificazione rituale dei Giudei, contenenti ciascuna da ottanta a centoventi litri. E Gesù disse loro: «Riempite d’acqua le anfore»; e le riempirono fino all’orlo. Disse loro di nuovo: «Ora prendetene e portatene a colui che dirige il banchetto». Ed essi gliene portarono.
Come ebbe assaggiato l’acqua diventata vino, colui che dirigeva il banchetto – il quale non sapeva da dove venisse, ma lo sapevano i servitori che avevano preso l’acqua – chiamò lo sposo e gli disse: «Tutti mettono in tavola il vino buono all’inizio e, quando si è già bevuto molto, quello meno buono. Tu invece hai tenuto da parte il vino buono finora».
Questo, a Cana di Galilea, fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù; egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui.
Dopo tutto è un dettaglio il vino?
A cura di don Cristiano Re, accompagnatore Acli Bergamo
Dopo il cammino, la ricerca, e la scoperta dei magi,
dopo il battesimo con acque e cieli aperti,
ora il rivelarsi di Dio dentro all’ordinarietà del nostro tempo che scorre, è raccontato attraverso un banchetto di nozze.
Mi colpisce molto anzitutto e mi pare particolarmente bello che lo svelamento di Dio, avvenga senza grossi clamori, senza fare rumore, quasi che non si sappia neppure troppo quello che succede davvero.
Nelle cose di tutti i giorni, nell’ordinario della vita Dio si rivela nel nascondimento, nella verità e nel bene che sta dentro a ciò che succede e che si fa di bene;
nella festa di vita che si sa aggiungere alla vita che rischi di non portarsi più dentro la gioia del vivere il riconoscimento e la riconoscenza del tanto che la nostra storia assieme a Dio e agli altri ci offre.
Ritorna con coerenza grande questo messaggio.
Dio Nascosto in una casa di Betlemme, nascosto nella fila dei peccatori nel Giordano, e oggi nascosto tra gli invitati a nozze.
Giovanni alla fine del racconto scrive che quel giorno Gesù “manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui”.
E nessuno in questo racconto delle nozze di Cana lo svela o lo indica.
È il primo dei segni e ad accorgersene sono giusto sua madre e alcuni discepoli.
Forse ci verrebbe da dire che poteva starci a un certo punto della festa che qualcuno si fosse alzato in piedi per dire che era avvenuto qualcosa di straordinario, che Gesù aveva compiuto il miracolo.
E invece no. Noi lo sappiamo perché a posteriori l’evangelista ci ha raccontato che è successo così.
L’unica cosa che si dice è che tra gli invitati passa la voce meravigliata che i due sposi hanno tenuto da parte il vino buono per la fine.
E la scena si chiude così, con il merito che va ad altri che non c’entrano per nulla.
Questo mi fa pensare a dove stanno e dove sono i doni di Dio.
Forse tante volte si leggono solo in controluce i doni di Dio.
Credo che donare davvero e gratuitamente sia questo e che questa sia una grande lezione di Gesù, del suo vangelo.
Doni nascosti che sono grandi doni e che non hanno bisogno di vetrine e luci.
Molto bello e molto vero tutto questo.
Un’altra cosa che non smette di colpirmi, e già parlando di questo brano c’è lo siamo detti tante volte, è che il primo dei segni di Gesù nel vangelo di Giovanni sia legato alla festa.
Ci sono passaggi profondi in questo.
Mi viene in mente che spesso, giustamente mi chiedo come si fa a distinguere nella vita tra ciò che è necessario e ciò che non è necessario.
Va bene e bisogna sempre farlo.
Questo però mi fa chiedere perché Maria se lo prenda tanto a cuore il fatto che a quel banchetto venga a mancare il vino che non mi pare essere proprio una priorità assoluta nella vita degli uomini, e forzi un poco Gesù in questo.
Dopo tutto è un dettaglio il vino? Non è una questione così importante forse…
Ma i dettagli non sono solo dettagli. C’è lo siamo detti tante volte e ce ne accorgiamo nella nostra vita che sono i dettagli che tante volte fanno la differenza, e quello di Maria era un gesto di attenzione, potentemente femminile, capace di fare la differenza.
Sono splendidi gli occhi di Maria che, sanno vedere là dove nessuno si accorge, che sanno leggere un momento, che di per sé appare poco importante ma che potrebbe rovinare la festa: il vino viene a mancare.
Lo sguardo su ciò che manca, accorgersi di ciò di cui c’è bisogno e partire da lì.
Importantissimo! Tante volte ci chiediamo cosa bisogna fare, come dobbiamo muoverci per cambiare le cose, per rendere più bella la vita è il mondo, nostro e degli altri.
Accorgersi di ciò che c’è bisogno e farlo!
Se facessimo tutti un po’ più così davvero sarebbero diverse le cose.
Ce lo diciamo con convinzione che davvero le relazioni nascono e crescono non solo a partire da buoni propositi o sentimenti ma dal sentire il bisogno, dal bisogno che diviene desiderio, dell’accoglienza e dal lasciarsi chiamare dal bisogno-desiderio di vita buona, di vita bella di vita che sia una festa.
“Non hanno vino”.
La mancanza è una delle nostre caratteristiche, ci piaccia o meno;l’assenza è elemento strutturale di ogni uomo.
Manca il vino, manca, cioè, quell’elemento che aiuti a guardare le cose e a vivere le situazioni con un altro stile e con altro sguardo.
Non ci si può accontentare di scampoli o di ritagli, non ci si può accontentare di un vino diventato aceto, le “solite cose” non hanno la capacità di indicare una via d’uscita.
Ecco, la risposta ad un bisogno diventa possibilità ed occasione di miracolo, il miracolo del portare la festa nella vita di chi ci sta attorno e nella nostra.
Ecco che nel segno del vino, di una mancanza che viene accolta e trasfigurata si da il segno dell’avvento di un Dio che onora, in un banchetto di nozze, l’amore di un uomo e di una donna, l’amore tra gli uomini che nell’accoglienza e nell’offerta del dono nascosto, realizzano il grande sogno del regno di Dio.
E il pensiero mi ritorna al racconto di Cana, al comando di Gesù di riempire di acqua le anfore, le grandi anfore rituali poste nella casa, là in un angolo immobili, vuote.
Forse davvero lì a sottolineare il pericolo di una ritualità vuota, vuota di ebbrezza.
Quasi a dire che, quando manca nella religione l’ebbrezza dell’amore, ci si rifugia nelle purificazioni, legate alla legge. E poi succede il gelo delle anfore di pietra. Vuote.
Voi mi capite, non più una religione che non sa parlare altro che di precetti e di purificazioni, una religione scritta su tavole di pietra, ma la Fede in Dio che non rimpicciolisce l’amore, ma lo dilata; non toglie passione ma l’accende.
Noi lo sappiamo che un dono, un amore troppo misurato muore.
Chiediamo a Dio che anche per ciascuno di noi ci sia sempre un oltre da sognare.
Che davanti all’evidenza della nostra vuotezza, della nostra rigidità, della nostra mancanza, non ci fermiamo a costatare ciò che ci sembra evidente e irreparabile nella sua immobilità e mancanza, ma che sempre sentiamo l’invito ad andare oltre, oltre ciò che è dovuto, oltre ciò che è prescritto, oltre ciò che è programmato.
Sentiremo vino, nuovo e vita nuova e buona, a ridare energia alle nostre vite capaci ancore di trovare e dare amore a chi ci sta accanto.