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Domenica 17 giugno 2018 Anno B

LETTURE DEL GIORNO: Ez 17,22-24 –  2Cor 5,6-10  – Mc 4,26-32

Dal vangelo secondo Marco

In quel tempo, Gesù diceva [alla folla]: «Così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme ger­moglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa. Il terreno produce spontaneamente prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga; e quando il frutto è maturo, subito egli manda la falce, perché è arrivata la mietitura».

Diceva: «A che cosa possiamo paragonare il regno di Dio o con quale parabola possiamo descriverlo? È come un granello di senape che, quando viene semi­nato sul terreno, è il più piccolo di tutti i semi che sono sul terreno; ma, quando viene seminato, cresce e diventa più grande di tutte le piante dell’orto e fa rami così grandi che gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra».

Con molte parabole dello stesso genere annunciava loro la Parola, come potevano intendere. Senza parabole non parlava loro ma, in privato, ai suoi discepoli spiegava ogni cosa.

 

SEMINARE CON FIDUCIA

“Unde malum”? Ci siamo chiesti, con s. Agostino, domenica scorsa. Perché pesano su questa umanità tanta violenza, ingiustizia, corruzione, sofferenza?

E in noi credenti può sorgere anche  un’altra domanda: “E il Regno di Dio che Gesù ha annunciato, promesso ed è venuto ad instaurare?”  Regno di Dio, ricordiamo, non è altro che l’amore di Dio che  si manifesta nell’armonia delle relazioni: con Dio, con se stessi, con gli altri, con il creato. È possibile questa armonia e,  quindi, che  si affermi  l’accoglienza,  la giustizia, la pace?

Sembra che le speranze, sia individuali che collettive, si siano oggi  affievolite: ci scopriamo preoccupati e forse  scoraggiati, fino a  chiederci: disponibilità,  tempo,  energie, spesi  per il Regno servono, hanno efficacia ?

La Parola oggi risponde a questi interrogativi.

Già Ezechiele (I lett.: 17,22-24) annuncia la rinascita ad una ormai minuscola, delusa e indifesa comunità al tempo  dell’esilio babilonese. Con  l’immagine del “ramoscello” intende infondere speranza, fiducia  nell’agire e nelle promesse di Dio.

Ben  poca cosa un “ramoscello”; tuttavia,  “diventerà un cedro magnifico”, perché Dio può far “germogliare l’albero secco”.

E il Vangelo  (Mc 4,26-34)?  Gesù con queste due parabole intende dare una risposta alle aspettative della gente del suo tempo e anche del nostro.

I suoi contemporanei si attendevano dal Messia la ricostituzione del regno di Israele; e,  “giustamente”, scuotevano il capo dinanzi a quel Rabbì sconosciuto di Nazaret, che ha scelto un gruppetto di discepoli per lo più pescatori, ed è seguito soprattutto da gente senza importanza, emarginata, perfino malfamata, compresi pubblicani, prostitute, peccatori ….

E noi? Non ci domandiamo: ma il  messaggio di Gesù non avrebbe dovuto (e non dovrebbe) rendere  più umano questo mondo?

Gesù invita a vedere come l’azione di Dio nella storia assuma i tratti di una presenza discreta, segua logiche che sfuggono alla comprensione.

È necessario affinare lo sguardo  per cogliere i segni  del regno di Dio, che  è già  qui e cresce. Nessuna  contrarietà  potrà arrestare la sua maturazione, perché è Dio stesso l’artefice di questa crescita.

Certo il regno è di Dio e non  dipende in primo luogo da noi. Infatti il contadino “dorma o vegli, di notte e di giorno, il seme germoglia e cresce. Come egli stesso non lo sa”.

Ma qualcosa di indispensabile ha fatto anche il contadino:  ha seminato!

Il  regno dipende anche da noi, dalla nostra disponibilità a seminare.

Interessante la nota sugli stadi della crescita: “prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga”, quasi a sottolineare la progressione. Come afferma anche il Papa (Gaudete et exultate 50): “La grazia agisce storicamente e, ordinariamente, ci prende e ci trasforma in modo progressivo”. Questa consapevolezza infonde fiducia e rende anche  rispettosi dei tempi di crescita degli altri.

Dunque  Gesù non consiglia disimpegno; non possiamo nasconderci  dietro l’alibi che  “tanto ci pensa lui”, tanto il seme cresce da sé,  comunque. Vuole, al contrario,  che ci impegniamo, ma senza affanno,  con serenità,  e soprattutto  con fiducia,  a seminare semi di bene,  perché daranno senz’altro frutto.

E vuole che riconosciamo e  diamo valore a  ciò che è piccolo, ai gesti quotidiani.

Ci ricorda il Papa “La vita comunitaria, in famiglia, in parrocchia, nella comunità religiosa  o in qualunque altra, è fatta di tanti piccoli dettagli quotidian .. Gesù invitava i suoi discepoli a fare attenzione ai particolari”. (cfr. G et E  – 143 e 144):  

E:  “si tratta di non aver limiti per la grandezza, per il meglio e il più bello, ma nello stesso tempo di concentrarsi sul piccolo, sull’impegno di oggi” (169).

Certo le grandi organizzazioni sociali, politiche, economiche sono determinanti nella storia, ma non lo è da meno la generosità dei singoli, di comunità  e piccoli gruppi.

È dal piccolo seme di senapa che si sviluppa l’albero grande, in   continuità:  il grande arbusto viene dal piccolo seme.

Dio, dal  momento che è onnipotente,  secondo la nostra mentalità  del “grandioso”,  dovrebbe agire  alla grande e subito,  e cambiare  di colpo questo mondo, secondo i nostri sogni.

Invece ha scelto la logica della povertà, della mitezza e dell’amore. E l’amore non si impone, si propone.

Così Gesù si è come  nascosto nella fragilità del  bambino di Betlemme. Il messia, il figlio di Davide,  ha speso (“sprecato”)  decenni in una botteguccia di falegname, ha operato poi in piccoli villaggi, in mezzo a povera gente, ed è morto  perdente.

E oggi non cambia metodo e stile: si fa presente nella piccolezza;  agisce dove si sceglie e sperimenta accoglienza, solidarietà, riscatto della dignità dei piccoli e dei perdenti.

Non dovremmo mai dimenticare che la chiesa poggia sulla  “pietra scartata” e che per il Vangelo la salvezza passa per le strade del popolo delle beatitudini:  poveri, miti, puri di cuore, costruttori di pace ….

Liberandoci dalla logica umana, l’uomo e la donna di fede sanno riconoscere l’agire di Dio nelle esperienze di amicizia, di accoglienza, condivisione, perdono. Sono queste che fermentano la storia, la preservano dalla corruzione, annunciano un mondo nuovo.

Oggi ci sentiamo  particolarmente grati  alla Parola, perché rinnova in noi la consapevolezza che le nostre disponibilità quotidiane sono preziose.

Grati, perché ci libera dal lamento sterile; ci infonde fiducia che i semi di bontà, che riusciamo a spargere, crescano comunque, anche se non sappiamo come, dove  e quando; stimola la nostra operosità  mai inutile.

E un grazie anche a quanti con la loro testimonianza di generosità, affabilità, dedizione ci incoraggiano, ai tanti che,  in varie forme di impegno associativo (ACLI), sociale, politico, hanno a cuore gli ultimi,  che sono  tra noi e nel grande  mondo.

L’Eucaristia, che celebriamo e riceviamo, ci dia la gioia di sentirci partecipi del Regno di Dio che è qui, ci è donato e cresce; cresce per virtù propria, e anche attraverso la  nostra quotidiana collaborazione.

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