Dal vangelo secondo Luca (Lc 6, 17.20-26)
In quel tempo, Gesù, disceso con i Dodici, si fermò in un luogo pianeggiante.
C’era gran folla di suoi discepoli e gran moltitudine di gente da tutta la Giudea, da Gerusalemme e dal litorale di Tiro e di Sidone.
Alzati gli occhi verso i suoi discepoli, Gesù diceva:
«Beati voi poveri, perché vostro è il regno di Dio.
Beati voi che ora avete fame, perché sarete saziati.
Beati voi che ora piangete, perché riderete.
Beati voi quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e v’insulteranno e respingeranno il vostro nome come scellerato, a causa del Figlio dell’uomo. Rallegratevi in quel giorno ed esultate, perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nei cieli. Allo stesso modo infatti facevano i loro padri con i profeti.
Ma guai a voi, ricchi, perché avete gia la vostra consolazione.
Guai a voi che ora siete sazi, perché avrete fame.
Guai a voi che ora ridete, perché sarete afflitti e piangerete.
Guai quando tutti gli uomini diranno bene di voi.
Allo stesso modo infatti facevano i loro padri con i falsi profeti».
Beati voi poveri
A cura di don Roberto Fiorini, assistente spirituale Acli Mantova
Il testo che leggiamo oggi è l’inizio del primo grande discorso di Gesù riportato da Luca. in perfetta continuità con l’autopresentazione fatta nella sinagoga di Nazareth: «Lo Spirito del Signore…mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio».
Un’accurata preparazione conduce a uno scenario che sottolinea l’importanza del messaggio. Gesù sale sul monte con i discepoli, trascorre la notte in preghiera e sul far del giorno li chiama e ne sceglie dodici dando loro il nome di apostoli. Tutti insieme scendono nella pianura dove si raduna una grande folla. Oltre al gruppo che era con Lui, i presenti provengono dalla Giudea, da Gerusalemme, da Tiro e Sidone, territori a nord della Palestina. Erano venuti per ascoltarlo, per invocare la guarigione da malattie e liberazione dalle ossessioni. Da Lui scaturiva una forza sanante. La presenza di malati e indemoniati sottolinea l’effettivo bisogno di aiuto di persone impossibilitate e vivere pienamente la loro vita.
Dinanzi a tutta la folla, fissando però lo sguardo sui discepoli, ecco le prime parole: «Beati voi poveri…voi che ora avete fame…voi che ora piangete». Ma «guai a voi, ricchi…voi, che ora siete sazi…voi, che ora ridete». Le beatitudini in Luca si riferiscono ai poveri nella loro situazione oggettiva, così pure gli affamati e coloro che piangono. «Non è in questione alcuna qualità del soggetto, qualità morale o spirituale, comunque soggettiva o personale. Si tratta di persone che nella società soffrono di privazione di mezzi, di peso sociale o politico per poter far valere i propri diritti, privazione di onore, considerazione, stima. Dunque si tratta di poveri nel senso di indifesi, emarginati, disprezzati» (Barbaglio). Una prospettiva diversa rispetto alle beatitudini annunciate dall’evangelista Matteo dove i «poveri in spirito» sono gli umili, curvi spiritualmente davanti a Dio e agli altri. Dove pure, tra le nove beatitudini da lui riportate, ci sono quelle di «coloro che piangono» e di «quelli che hanno fame e sete della giustizia».
Ma che vuol dire «beati voi poveri»? Parliamo della prima beatitudine; le altre si possono ritenere, almeno in parte, sue precisazioni. Gesù si congratula, si felicita con i suoi interlocutori perché Dio è dalla loro parte. La loro vita, che non ha alcun valore secondo i criteri dominanti, è preziosa agli occhi di Dio che si prende cura di loro. Si fa protettore dei deboli e dei poveri, come tante volte è stato proclamato nell’Antico Testamento. È paradossale quanto viene annunciato. La povertà non indica solo una carenza a livello del possesso, dell’avere, ma concerne lo stesso essere della creatura umana. «Povertà è essere carenti di qualcuno di quei beni che sono ritenuti essenziali al compimento umano» (Rizzi). Da una parte la povertà è negativa, perché in termini biblici il povero viene escluso dai beni della creazione, dall’altra il «Beati» ci dice che proprio quelli che non interessano a nessuno sono al centro dell’interesse di Dio. In Luca la beatitudine è «un invito a tener duro, alla costanza, a rifugiarsi nella speranza trascendente rappresentata dal regno di Dio» (Barbaglio).
«Guai a voi, ricchi». È una minaccia. Guai l’opposto di Beati. Luca con alcune parabole esplicita il rischio mortale che il possesso esclusivo dei beni porta con sé. Quella del ricco gaudente e di Lazzaro Lc 16, 19,19-31. Il povero alla porta del ricco senza ricevere nulla. Il fallimento totale e ultimo del ricco. L’abisso che li separava in vita si trascina oltre la morte, dove però la situazione è rovesciata. C’è quella del ricco latifondista (Lc 12, 13-21) tutto chiuso nel proprio successo economico. La sua stoltezza massima è porre a fondamento della vita la ricchezza accumulata. Fondamento illusorio per una vita mortale. L’unica possibilità di salvezza per il ricco è cambiare prospettiva mentre c’è ancora il tempo per farlo. È la parabola del fattore infedele (Lc 16,1-8). Condividere la «ricchezza disonesta» (Lc 16, 9) è la via per non fallire la vita: «Non si può servire Dio e la ricchezza» (Lc 16, 13). Possiamo aggiungere le parole del Magnificat: «Ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili. Ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato i ricchi a mani vuote» (Lc 1, 52-53). È un messaggio folle per la sapienza convenzionale che domina nella nostra società. E noi siamo intossicati da questa sapienza, incompatibile con le beatitudini di Luca.
Venendo all’oggi: la vera follia è che meno di 30 miliardari al mondo posseggono quanto la metà più povera dell’umanità (3,8 miliardi persone); che nel nostro Paese ci sono 120 miliardi di evasione all’anno, l’equivalente di quattro o cinque finanziarie, mentre circa il 90 per cento dell’IRPEF la pagano i lavoratori dipendenti (60%) e i pensionati. Nel mondo, come in Italia, la disuguaglianza è in continuo aumento. L’abisso tra ricchi e poveri si allarga. Aggiungiamo che a livello globale l’implacabile voracità di energia e di ricchezza sta portando il pianeta verso la catastrofe.
Per la sapienza convenzionale egemone, questo trend è normale, naturale. Se ci lasciamo illuminare da Luca la prospettiva cambia radicalmente. Solo allora forse saremo in grado di apprezzare l’arcano di quella parola – Beati – e avremo l’energia per reagire al pensiero unico, riprendendo a sognare, consapevoli che «l’efficienza delle beatitudini è dell’ordine della bellezza e del senso» (Tognoni). I discepoli sono quelli che, anche a loro insaputa, le rappresentano giorno per giorno nel teatro della storia.