Dal Vangelo secondo Luca (Lc 3,10-18)
In quel tempo, le folle interrogavano Giovanni, dicendo: «Che cosa dobbiamo fare?». Rispondeva loro: «Chi ha due tuniche, ne dia a chi non ne ha, e chi ha da mangiare, faccia altrettanto».
Vennero anche dei pubblicani a farsi battezzare e gli chiesero: «Maestro, che cosa dobbiamo fare?». Ed egli disse loro: «Non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato».
Lo interrogavano anche alcuni soldati: «E noi, che cosa dobbiamo fare?». Rispose loro: «Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno; accontentatevi delle vostre paghe».
Poiché il popolo era in attesa e tutti, riguardo a Giovanni, si domandavano in cuor loro se non fosse lui il Cristo, Giovanni rispose a tutti dicendo: «Io vi battezzo con acqua; ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. Tiene in mano la pala per pulire la sua aia e per raccogliere il frumento nel suo granaio; ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile».
Con molte altre esortazioni Giovanni evangelizzava il popolo.
Un impegno di giustizia
A cura di don Claudio Visconti, collaboratore Acli Bergamo
Giustizia è dare a ciascuno il suo. Né di più né di meno (Mt 20,1 – 16).
Sembra un’idea facilmente condivisibile, difficilmente contestabile. Sentendola pronunciare sembrerebbe tanto limpida da essere pure facile da realizzare. Ma non è così. Non sto parlando della grande giustizia tra le nazioni, tra i ricchi e i poveri del mondo, quella da celebrare nei tribunali e da realizzare nelle leggi e nelle scelte della politica. Quelle sono solo conseguenze. Mi riferisco ad una cosa più feriale, che è una giustizia verso noi stessi e verso gli altri da vivere ogni giorno, in ogni istante e in qualsiasi relazione e occasione. E che nasce dall’accettazione.
Il contrario della giustizia non è l’ingiustizia, ma la dissimulazione. E quella è solo conseguenza. Se non so cosa è mio o ciò che sono non mi va, non mi piace, non potrò mai essere giusto. Con me stesso, prima che con gli altri. A partire dal mio corpo. Giustizia è accettare le differenze (Cor 12,4 – 31), i propri pregi e difetti, la propria storia e i propri errori, per concentrare le nostre energie a diventare in pienezza ciò che siamo in abbozzo. Accontentati di ciò che sei e impegnati più che puoi per realizzare ciò che sei. Questo sembra indicare Giovanni come urgenza. E lo fa con sé: sa di non essere lui il Messia e non gioca ad essere di più di ciò che è (Mt 3,11). Si accontenta di essere il precursore e lo fa con tutte le forze e le sue capacità. Non se la prende con se stesso, con il mondo, con Dio per averlo fatto diverso da come sognava, per averlo
fatto gregario; secondo: non finge di essere ciò che non è, ma accetta di giocare con giustizia la sua onesta partita, prende sul serio la sua parte, senza fare capricci. La vera giustizia lo mette al riparo e mette al riparo ogni altro.
Viviamo un tempo dove viene difficile accettare di non essere i primi della classe, perché i modelli sono perfetti, dallo sport al mondo del lavoro. E dove la pubblicità ci fa credere che possiamo essere tutto ciò che vogliamo. Magari con poco impegno, tanta fortuna ed un mucchio di danari. Possiamo scolpire il nostro corpo, aggiustare la nostra storia, correggere la nostra immagine. Ecco, forse questo è l’opposto della giustizia: curare la propria immagine. Per questo il disegno dei capricci di un bambino che non riceve complimenti digitali per l’immagine che vorrebbe dare di sé mi si è stampata nella testa leggendo questo Vangelo. E mi sembra una buona notizia. L’invito a smascherare i piccoli e grandi capricci che facciamo ogni giorno perché vorremmo credere e far credere di essere di più. I capricci di chi non si sa accontentare e non riesce ad essere felice.