La Francia ha richiamato il proprio ambasciatore in Italia e questa crisi diplomatica, a tre mesi dalle elezioni europee, è una doccia fredda per tutti quelli che, come noi, danno per scontata l’alleanza tra paesi fratelli e tengono alto lo sguardo alle sfide mondiali, sapendo che la taglia più piccola che possiamo e vogliamo permetterci su questo scacchiere, per rimanere protagonisti, è quella dell’Unione Europea.
È un richiamo anche per noi: ciò che pensiamo acquisito una volta per tutte, che struttura le nostre abitudini di vita, deve essere costantemente non tanto difeso, quanto custodito e irrigato di nuovo senso e di prospettiva.
È un richiamo che paradossalmente mette in luce il lavoro quotidiano di relazioni e progettualità tra individui e associazioni, su cui si basa il nostro operato, fieramente europeista e popolare. Perché non basta un gesto diplomatico, ancorché preoccupante, per mettere in discussione l’amicizia tra due popoli nutrita da continui scambi e dal rispetto reciproco.
È un richiamo che mette finalmente l’accento sulle conseguenze dei gesti politici e sul bisogno vitale che siano ponderati nel rispetto delle istituzioni che si rappresentano e con la consapevolezza delle implicazioni, chiudendo la sciagurata fase dell’antipolitica e del qualunquismo.
Questa situazione richiama tutti, in particolare noi lavoratori cristiani italiani in Italia e in Francia, ad un rinnovato protagonismo nei corpi intermedi. Lungi dall’essere superati, rappresentano infatti l’avanguardia e l’accompagnamento necessario ai momenti delicati della storia. La dorsale su cui, anche in frangenti complessi, possiamo contare, non come singoli, ma come popoli sovrani.
A tre mesi dalle elezioni europee vogliamo essere protagonisti di nuovi slanci e di futuro, non imbrigliati in paure del passato e incertezze sul presente.
Non sono le idee che ci mancano, né l’energia per perseguirle.