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Credito alle buone banche

Il sistema bancario italiano, e non solo, è in costante crisi. Aumentano le tensioni tra Bruxelles (Commissione Ue), Roma e Francoforte (Bce). Aumenta la confusione e il panico nel settore finanziario è ormai dominante. La speculazione sembra fare da padrona: c’è chi guadagna sui crediti in sofferenza attraverso strumenti di finanza strutturata incomprensibili ai più. E ha dunque tutto l’interesse a seminare il panico.

Giornali, esperti del settore, economisti e qualche politico si producono in analisi e danno delle ricette per uscire dalla crisi. Si parla del bail in e del bail out, della good bank e della bad bank, di ricapitolarizzazione e cartolarizzazione bancaria, della differenza tra azioni e obbligazioni, dei titoli tossici e derivati.

Il problema nascerebbe dal fatto che le banche italiane hanno 350 miliardi di euro di crediti deteriorati, ovvero di qualità scarsa. Di questi, circa 200 miliardi sono crediti che le banche hanno nelle loro casse e che non riusciranno mai a incassare perché non c’è più alcun debitore in grado di rimborsarli. E sembra che questa situazione sia venuta furi solo oggi perché la Bce che vigila su tutto il sistema sta operando dei controlli. Ha messo sotto la sua lente il Banco popolare e la Banca popolare di Milano che saranno esaminati per due mesi.

Lo scenario europeo è profondamente cambiato. Sono state introdotte nuove norme, più rigide e centralizzate, con lo Stato che ha deciso per sé un ruolo meno pregnante. Dal 1°gennaio 2016 la nuova Direttiva europea Brrd (Bank Recovery and Resolution Directive), ha infatti cambiato radicalmente l’approccio riguardante la gestione delle crisi bancarie, introducendo princìpi innovativi come la condivisione degli oneri (burden sharing) tra i diversi portatori di interesse in caso di crisi irreversibile, e l’istituto del bail in (il cosiddetto salvataggio interno) basato sull’assioma che nessuna crisi bancaria dovrà essere sempre più risolta con l’intervento pubblico. Il rischio però come afferma Ugo Biggeri è quello di “spostare sul singolo investitore le ricadute di una gestione inadeguata. Ma la garanzia del buon funzionamento del sistema bancario deve essere dello Stato e degli organi di controllo e non può essere privatizzata”.

Se il mercato avesse fiducia nel sistema creditizio, forse i problemi delle banche italiane sarebbero minori. Ma evidentemente non è così e il panic selling (le vendite di massa dettate dalla paura) degli ultimi mesi lo dimostra. Si potrebbe pensare che il futuro delle popolari si sia tinto più di rosa vista la riforma che, proprio per consolidarne la situazione patrimoniale, le vuole trasformarsi in spa. E invece no: -40% per il Banco popolare; -37,7% per Ubi banca; -37,3% per Bper; -21% per Popolare di Milano.

Per tamponare la situazione, intanto, il governo sta facendo nascere una Bad Bank, ovvero una banca pubblica in cui versare tutti i crediti deteriorati in sofferenza e alleggerire le banche che potrebbero così ricominciare a fare credito ridando fiato a famiglie e imprese.

Ma tutte queste misure, le stesse norme europee, sembrano trascurare alcune questioni essenziali che invece abbiamo voluto mettere a fuoco nell’approfondimento del mese di febbraio di benecomune.net: Croce banca. Soccorrere la finanza che fa comunità.

Abbiamo chiesto ad economisti (Leonardo Becchettie Giovanni Ferri) a sociologi (Salvatore Rizza), a filosofi (Luca Grion) e esponenti del settore bancario (Sergio Gatti e Ugo Biggeri) di rispondere a domande di fondo: perché le banche non riescono più a tutelare i risparmi dei cittadini? In che modo è possibile ridurre i rischi per i correntisti/risparmiatori di future crisi bancarie? Quali riforme di regolamentazione sono necessarie per avere un sistema bancario-finanziario al servizio dell’economia reale? Come promuovere l’educazione finanziaria tra i risparmiatori per renderli più responsabili e consapevoli? Che ruolo hanno o/e possono avere le banche per lo sviluppo del territorio?

Emerge un quadro ricco, policromato che ci consente, al di là dei tecnicismi bancari, di andare al cuore delle questioni di ritrovare le ragioni etiche che dovrebbero guidare le azioni di risparmio dei cittadini e quelle di investimento degli operatori bancari. Di valorizzare quel patrimonio della banche, in primis di quelle cooperative e popolari, che fanno crescere le comunità, che finanziano l’economia locale e lo sviluppo del territorio.

In sintesi, come osserva Giovanni Ferri, “per avere un sistema bancario al servizio dell’economia reale occorre superare l’attuale regolamentazione che spinge le banche a fare finanza piuttosto che prestiti al mondo produttivo. Un modo per farlo è quello di considerare il modello di business della banca, riducendo i gravami per chi fa credito a famiglie e imprese, invece di aumentarli come si è fatto negli anni scorsi. Ulteriore aspetto da salvaguardare è la biodiversità tra le banche. Sistemi bancari più diversificati – cioè fatti di banche Spa, banche cooperative e casse di risparmio – si sono mostrati più stabili di fronte alla crisi e più di sostegno allo sviluppo. Ma oggi le specificità di banche cooperative e casse di risparmio non sono tutelate a Bruxelles e Francoforte”.

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