Cittadini titolari di diritti oltre che di titoli azionari
Ci sono figure nella nostra storia il cui insegnamento non è mai superato. Una di queste è certamente don Lorenzo Milani.
Egli fu inviato, per punizione, nella sperduta frazione di Barbiana a 42 anni, come diceva lui stesso ironicamente, a occuparsi di 42 anime. Don Milani fu sicuramente un maestro di vita ma molti lo considerano anche un profeta sociale e politico e, soprattutto, un grande educatore. Il prete di Barbiana, diceva – infatti – di se stesso: «io non sono un sognatore sociale e politico: io sono un educatore di ragazzi vivi e educo i miei ragazzi vivi a essere buoni figli, responsabili delle loro azioni, cittadini sovrani».
Per educare, davanti a tutto, metteva l’importanza dell’esempio; a chi gli chiedeva della sua pedagogia era solito rispondere che gli insegnanti «non dovrebbero preoccuparsi di come bisogna fare per fare scuola, ma solo di come bisogna essere per poter fare scuola». La sua attenzione era allo stile, all’interiorità, alla coerenza, al modo di porsi dell’educatore, attenzione che riguardava anche i percorsi di formazione politica.
Aveva le idee chiare don Milani anche nell’approfondire le tematiche politiche e sociali e sulla necessità di diventare cittadini sovrani e responsabili, convinto dell’importanza della questione culturale. Per questo, quando parlava delle diseguaglianze, diceva: «la povertà dei poveri non si misura a pane, a casa, a caldo. Si misura sul grado di cultura e sulla funzione sociale». Aveva capito che lo stato di povertà dipendeva molto dal modo in cui le persone conoscevano, si appropriavano, approfondivano le parole. Nella scuola di Barbiana famosa era la frase: l’operaio conosce 100 parole, il padrone 1000, per questo è lui il padrone. Il divario di conoscenza per don Milani era rappresentato dal ricorso a questo semplice termine: le “parole”… sono i contenuti che mancano alle persone.
Educatori come don Milani, politici come i padri costituenti, partiti rappresentativi ed associazionismo, permisero al nostro Paese – nella seconda metà del Novecento – lo sviluppo della coesione sociale ed un progresso materiale e civico che solo adesso, con una società sott’attacco, stiamo comprendendo quanto furono preziosi per la crescita civile degli Italiani. Da quel tronco del Novecento prese forma in Italia ed in Europa un’invenzione politica senza precedenti, la più importante del XX secolo: il modello sociale europeo, la vera cifra identitaria europea nel mondo.
Istruzione, sanità, previdenza, furono garantite alle donne, agli uomini, agli anziani, ai non autosufficienti, al mondo offeso di Elio Vittorini, Lorenzo Milani e di Danilo Dolci, ai lavoratori, a quello che un tempo veniva chiamato con orgoglio Popolo.
Come sostiene Bauman «uno stato è ‘sociale’ quando promuove il principio dell’assicurazione collettiva, sostenuta collegialmente, contro le disgrazie individuali e le loro conseguenze. È in primo luogo questo principio – dichiarato, reso operativo e oggetto di fiducia diffusa quanto alla sua efficacia – che riplasma l’idea, altrimenti astratta, di ‘società’ […]. È lo stesso principio che innalza i membri della società allo status di cittadini – cioè, che li rende titolari di diritti oltre che di titoli azionari».
L’onda generativa dell’inclusione
Determinante fu il ruolo dell’associazionismo di promozione sociale, che contribuì con idee, azioni e servizi, all’emancipazione sociale e culturale delle classi popolari e a migliorare la qualità della vita di decine di milioni di persone, permettendo loro, dopo l’orrore della guerra e delle catastrofi umanitarie, di credere che il destino dei figli sarebbe stato migliore di quello dei genitori. L’Italia – sull’onda generativa dell’inclusione – era più giusta, la sanità universalistica, la scuola per tutti e di qualità (tanto da essere studiata da psicologi e docenti stranieri).
Questi, così come altri, sono ambiti che stiamo follemente dismettendo perché i centri di potere economico cercano continuamente di convincerci che la società non esiste. Essa sarebbe un nowhere.
Corruptio optimi pessima. Diceva così San Gregorio Magno: ciò che era ottimo, una volta corrotto, è pessimo. E così, anche quel modello sociale, la vera cifra identitaria europea, viene per avidità e per interessi egoistici, criticato, aggredito, manomesso, dismesso; si cancella la memoria dei successi raggiunti perché nel mondo tutto deve diventare merce e produrre profitti per le élites e i pochi privilegiati del XXI secolo. La democrazia si degrada a mero capitalismo assoluto.
Aver abbandonato la strada maestra della coesione sociale ha fatto sì che oggi l’Italia sia al 25° posto (su 40 Stati considerati) al mondo per qualità dell’istruzione (fonte: The Economist Intelligence Unit). Siamo ultimi per conoscenze di base e penultimi per capacità di calcolo (secondo dati Ocse) e in base ad una recente ricerca che ha verificato le capacità di comprensione di un testo scritto delle persone tra i 16 e i 65 anni, in Italia solo il 20 per cento della popolazione possiede gli strumenti minimi indispensabili di lettura, scrittura e calcolo necessari per orientarsi nella società contemporanea.
I tre quarti della popolazione italiana non comprende un testo scritto che riguardi fatti collettivi. O un bugiardino o un semplice grafico (fonte: Tullio De Mauro – Ocse).
Poiché l’istruzione dovrà essere privilegio solo per i ricchi, la scuola pubblica italiana è e deve essere degradata. L’Italia investe nell’istruzione solo l’8% della spesa pubblica (peggio solo la Grecia: 7,6%), e i risultati si vedono: abbiamo un record negativo per gli abbandoni scolastici (siamo quint’ultimi in Europa per numero di studenti che termina la scuola). Peggio di noi solo Spagna, Malta, Romania, Portogallo (fonte: Education and training monitor, Commissione Europea, 2015). Lo stesso circa il tasso dei laureati: solo 1 giovane immatricolato su 4 arriva a laurearsi, portando la percentuale di laureati tra i 30 e i 40 anni al 23,9%, la più bassa tra i Paesi europei. Da questo sistema formativo e d’istruzione potranno mai, come indicava Don Milani, venir fuori cittadini consapevoli e sovrani?
L’osservazione della realtà suggerirebbe di no, piuttosto si produrranno consumatori acefali!
Saper leggere la realtà
Corruptio optimi pessima. Prevale l’interesse individuale e non quello generale, come mostra anche molta comunicazione politica in questi tempi pre-elettorali: persino candidati sindaci delle prossime amministrative non fanno mistero nei propri comizi di promuovere l’affermazione del primo sul secondo.
Ciò che è mantenuto generale e condiviso è la socializzazione delle perdite: per questo i cittadini italiani pagano l’enorme debito contratto dallo Stato per sollevare e salvare le banche dagli azzardi della loro attività finanziaria rapace e improduttiva. Paga il popolo e lo Stato sottomesso al mercato, con il fisco che non è più strumento di redistribuzione ma esattamente il contrario, e si mantengono intatti la privatizzazione e l’incremento dei profitti.
Nella seconda metà del Novecento il ruolo dei partiti e dell’associazionismo di promozione sociale ha contribuito potentemente a una redistribuzione verso il basso delle risorse, permettendo la costruzione dei sistemi di welfare che hanno protetto milioni di persone dalla povertà e dalle incertezze, hanno ridotto la quantità di lavoro migliorandone la qualità, hanno sviluppato l’istruzione di massa che permetteva comprensione sociale, quindi giustizia, quindi coesione e mobilità sociale. Ma il trionfo dell’individualismo, l’affermarsi, come direbbe Chomsky, della fabbrica del consenso mediatico a reti unificate e del pensiero breve, che con il passare del tempo si accorcia sempre più, senza rispettare niente e nessuno, ci ha sospinto verso un altrove denso di minacce sociali.
E Il dramma dei nostri tempi diventa la mancanza di uomini e donne che sappiano leggere criticamente la realtà, persone come don Milani o Ivan Illich, altro prete dal profondissimo pensiero, o lo stesso Achille Grandi, che seppero contrapporsi all’assalto del potente avido, del pensiero unico e uniformante, del comportamento servile e denunciare la decadenza delle istituzioni, fronteggiando le modalità in cui si è iniziato a produrre il contrario di ciò che serviva per giustificare la loro esistenza.
Di recente un amico mi ha posto tre domande difficili: le organizzazioni nate dalla Costituzione del 1948, i corpi intermedi di promozione sociale, fanno luce abbastanza per aiutarci a vedere tra le tenebre del pensiero breve e sterile che è stato costruito consapevolmente per trasformare i cittadini in consumatori?
Esiste una visione e una prassi alternativa della società attuale, diseguale, crudele e barbara, che possa contrastare, per senso di giustizia sociale, di libertà e dei valori cristiani, l’egemonia del solo pensiero possibile che con la forza del denaro e della corruzione avanza apparentemente invincibile dentro le istituzioni, le Università e nella testa della gente?
E se riconoscessimo che dal tronco del ’900, non proviene più il respiro sociale capace di animare le azioni per una buona idea di società e che, se mai, sopravvive solo quanto basta per garantire livelli residuali di solidarietà? Forse, se partissimo dall’ammissione che da quel tronco ormai mutato non verranno più fuori le forze capaci di attrarre nuove energie, di contrastare, per cambiarli, i rapporti di forze che il capitalismo estintivo ed egolatrico vuole imporre all’umanità, forse, riusciremmo a vedere la realtà come la vedevano Don Milani, Ivan Illich, Piero Calamandrei e Achille Grandi e tanti altri Padri Costituenti. Forse potremmo immaginare una via d’uscita per il futuro.
Mi ha fatto riflettere questo amico. Se vogliamo attirare e veicolare le energie di un cambiamento positivo certamente dobbiamo ripensarci in forme e maniere rinnovate – superando per quanto è necessario quelle del Novecento – ma soprattutto essere come quegli esempi ai quali ci ispiriamo, che seppero creare strutture e forme totalmente nuove, originali e efficaci, costruendo legami comunitari ed associativi in cui il progetto collettivo e la responsabilità sociale non venivano piegate al progetto o all’interesse individuale, ma al contrario venivano alimentate dal contributo di tutti coloro che semplicemente credevano, insieme, nella giustizia, nel dono e nella passione civile ed evangelica. Ciò implica non solo la conoscenza e la pratica dei rapporti di forze esistenti nella società, ma anche la conoscenza e la volontà di realizzare il bene comune degli uomini, la capacità di valutare la realtà, di educare, di favorire il meglio di ognuno, di richiedere e ottenere la libera collaborazione di tutti, per un bene umano che trascenda gli interessi particolari, pur avendo radice in ogni individuo e di capire qual è il bene comune storicamente maturo.
Tutto ciò richiede un impegno sociopolitico di alto livello: “I care”, avrebbe efficacemente sintetizzato don Milani, contrapposto al “me ne frego” di questi tempi e di altri bui tempi italici.
Per farlo occorre un profondo cambiamento, una rivoluzione antropologica, dove l’essere (l’esempio) conti più dell’avere e anche del dire, perché il dire che non trova fondamento nell’essere è vuoto e inefficace, e toglie senso alle parole. Si tratta di essere capaci di una coerenza che vada alle coscienze, che sia esigente nel pensiero e nei comportamenti, che sappia dare testimonianza. Come Papa Francesco ha avuto modo di dire, la testimonianza è «una fede che si traduce in gesti semplici di carità fraterna. Ma principalmente nella coerenza di vita tra quello che diciamo e quello che viviamo, coerenza tra la nostra fede e la nostra vita, tra le nostre parole e le nostre azioni» (Angelus, 22 marzo 2015).
Una coerenza che ponga la persona e la sua socialità (e non la sua presunta autosufficienza e indifferenza) al centro della scena. Per essere responsabili delle proprie azioni, appunto, e cittadini sovrani. Sale che non perde sapore.