L’emergenza sta definitivamente diventando globale. Se finora abbiamo pensato che nel mondo fossimo solo connessi con il resto del mondo, oggi scopriamo che siamo un mondo unico. In questo scenario occorrono innanzitutto affermazioni forti e universali. La prima, assoluta, è che la solidarietà è un dovere. Un dovere imprescindibile ora per salvare vite e per proteggere il lavoro. Dovere al quale per primi tanti lavoratori e volontari del soccorso e dell’assistenza dimostrano con coraggio oggi.
Il primo passo è che serve urgentemente assumere tutti insieme, innanzitutto in Europa, misure drastiche e inedite che rendano tangibile il dovere della solidarietà.
Lo si può fare cominciando dal guardare alla ricchezza speculativa per recuperare i miliardi necessari per le due grandi emergenze che abbiamo negli occhi: quella sanitaria del Coronavirus e quella umanitaria della fuga dalla guerra.
Lo si può fare facendo debito comune, perché è quando si investe insieme che si passa dallo stare insieme all’essere, nelle differenze, comunità. E ciò può avvenire solo quando si è fatto i conti con qualcosa di talmente drammatico da mettere da parte l’interesse nazionale (e più o meno timidi, o pericolosi, nazionalismi). Come fu per la CECA.
Lo si può fare interpretando un grande, inedito, investimento per la tutela della salute per tutti e per difendere il lavoro che si ferma, come anteprima di una nuova coscienza collettiva, capace di svoltare da un’economia in cui prevale il consumo e la distruzione di risorse e legami, a una in cui prevale la cura di quello che siamo e possiamo ancora essere, tutti insieme in armonia con il pianeta.
La missione dei patronati è da sempre nel lottare per l’affermazione quotidiana dei diritti e della dignità di ogni essere umano.
Oggi la vediamo sempre più alla prova tra i tanti cittadini che cerchiamo di assistere a casa loro, nelle nostre città assediate dal Coronavirus, così come nelle immagini di tante famiglie e tanti bambini tragicamente abbandonati al confine tra Turchia e Grecia.
Per questo non possiamo vedere e pensare che venga negato il soccorso sanitario qui o altrove a chi viene colpito da questo stramaledetto virus, e non possiamo veder negare quello umanitario alle porte della nostra Europa.
Su queste tragedie rischia di morire il senso di quello che intere generazioni hanno costruito spesso a prezzo della vita e che troviamo in quella carta che trasuda dignità e libertà che è la nostra Costituzione.
È nei momenti di emergenza che deve e può emergere il senso profondo della solidarietà e della giustizia. La nostalgia del futuro che le nostre madri e i nostri padri ci hanno consegnato.
L’Europa trovi per prima le risorse necessarie.
Vari allora subito insieme agli stati membri un pacchetto consistente di misure per la vita e il lavoro, un Emergency Compact che cominci anche dal mettere in fila tutte quegli atti da tempo assopiti sui tavoli europei che toccano la ricchezza speculativa ed “elusiva”. Decine e decine di miliardi possono arrivare sbloccando gli accordi sulla Tassa sulle Transazioni Finanziarie (una tassa piccolissima che tocca di fatto solo le transazioni ad alta frequenza), e la Digital Tax e il Country By Country Reporting contro l’elusione fiscale.
Un piano di risorse almeno dieci volte quelle finora accennate, un piano di investimento pubblico innanzitutto europeo, che faccia vedere oltre l’emergenza un rilancio del lavoro e uno sviluppo nuovo, che diffonda fiducia nei mercati nelle persone. Un piano che decreti veramente la fine dell’austerità e della paura dell’altro. Non sono i rifugiati di cui dovevamo aver paura in questi anni.
L’Europa è nata come atto di solidarietà e di pace tra i popoli. Noi europei non possiamo non rispondere all’emergenza che con le armi del dovere della solidarietà e della promozione della pace.
Non possiamo tacere di fronte a tante porte che rischiano di chiudersi in faccia alla vita di anziani, adulti, bambini. Qui e là, dentro l’Europa come alle sue drammatiche porte, e molto oltre. Posti e volti che sembrano lontani, ma che l’emergenza e l’umanità legano sempre tra loro, sempre di più in queste ore di profonda ansia e speranza collettive. E di coraggio, quel coraggio in più che ci attende tutti, e che si attende dagli stati.
Emiliano Manfredonia
Vice presidente vicario Acli e Presidente Patronato ACLI