Rivedere la legge sulle aperture domenicali durante le festività Lo chiedono le Acli di Brescia insieme all’Azione cattolica, la Diocesi di Brescia, il Forum del terzo settore e la Gioventù operaia cristiana.
Secondo le associazioni, firmatarie di un documento dal titolo “La persona e il lavoro al centro o… al centro commerciale?” le aperture festive non hanno né aumentato il fatturato né portato posti di lavoro. Di seguito il documento integrale.
Le recenti polemiche in merito all’apertura di outlet e centri commerciali durante le festività natalizie hanno riacceso l’attenzione su un problema che, dalla liberalizzazione avvenuta nel 2011, ha visto un’impressionante escalation che ha toccato dapprima festività civili (25 aprile e 1° maggio) e ora anche festività religiose quali Pasqua, Natale ed Epifania.
Tale deriva viene giustificata dalla necessità di aumentare i fatturati o da una promessa di maggiore occupazione. I dati però dicono il contrario: se nel 2012, primo anno di liberalizzazione completa, si è avuto un aumento del fatturato del 30%, nei successivi si è registrato, ogni anno, un calo del 4%. Secondo alcune elaborazioni, il ritorno alla chiusura nei giorni festivi abbasserebbe i costi indotti di circa il 10% grazie, tra gli altri, a minori costi di riscaldamento/raffreddamento, di elettricità, di sicurezza, per il personale.
Ma soprattutto l’apertura praticamente costante degli esercizi non ha portato a un aumento dell’occupazione, in un ambito che soffre di un problema strutturale di offerta e di continue crisi di settore. Del resto, certe “fughe in avanti”, quali quella dell’apertura 24 ore su 24, nella quasi totalità dei casi, hanno registrato veloci ripensamenti.
A livello europeo, inoltre, sono molti i Paesi che rispettano la chiusura domenicale. Nella stessa Germania, ad esempio, le domeniche di apertura sono solo una manciata – dieci – in tutto l’anno.
I giorni festivi hanno grande valore per tutti: accanto alla necessità di salvaguardare la qualità della vita vi sono quelle di preservare il riposo, l’incontro, le relazioni, in un’idea di tempo collettivo e condiviso. Al contrario oggi vi è una spiccata mancanza di considerazione nei confronti della vita sociale dei lavoratori e dei loro nuclei familiari. La liberalizzazione totale e indiscriminata delle aperture non permette ai lavoratori e alle loro famiglie di trascorrere insieme importanti giornate di festività.
Noi rifuggiamo l’idea di una “società di mercato” e, nello scontro tra due visioni della vita e del mondo – sintetizzate, da una parte, dal massimizzare i profitti e, dall’altra, dal rivendicare i propri diritti non possiamo che stare dalla parte dei lavoratori, dei loro diritti e dei sindacati che li sostengono e cercano di rappresentarli, di fronte a forzati calendari lavorativi dettati esclusivamente da logiche consumistico-commerciali.
L’apertura nei giorni festivi dipende dalla risposta del pubblico: è necessario agire sulla nostra mentalità di clienti e consumatori perché ci ritroviamo inconsapevolmente in una dimensione in cui quasi non sappiamo dove andare e cosa fare in un giorno di festa. Il tutto dipende dal tipo di società che vogliamo e, quindi, dalle nostre scelte e dal nostro stile di vita. È però fondamentale accompagnare l’impegno personale con un’azione sociale e politica.
A seguito della liberalizzazione totale, nel 2013 vi è stata una raccolta di firme ed è stata depositata alla Camera dei Deputati una proposta di legge di iniziativa popolare per cambiare la normativa, che è però rimasta lettera morta. Un intervento legislativo è necessario visto che, senza regole, la libertà di concorrenza non è in grado di autoregolamentare il settore. È necessario frenare l’eccesso di aperture domenicali e festive delle attività commerciali, restituendo dignità ed equilibrio a imprenditori e lavoratori del settore. P
rendendo spunto da quanto fatto dal Consiglio provinciale di Bolzano, che ha approvato una mozione contro il lavoro nelle giornate domenicali e festive, chiediamo alla politica di riprendere in mano il tema e portare a compimento il percorso legislativo quanto prima e, se ciò non avvenisse, ai partiti di annoverarlo nei prossimi programmi elettorali, affinché si giunga a una regolamentazione che, almeno, ci allinei con il resto d’Europa.