La lezione di Edgar Morin
A cura di Daniele Rocchetti, delegato nazionale alla Vita cristiana
a quasi cento anni – è nato a Parigi nel 1921 da genitori ebrei sefarditi – eppure Edgar Morin resta ancora oggi uno dei più prestigiosi e originali intellettuali europei. Pensatore poliedrico, Morin (il cui vero cognome è Nahum) ha fatto del tema della complessità il cardine dei suoi studi, in una lunga ricerca che lo ha portato a toccare con originalità e rigore i problemi del mondo scientifico, dell’antropologia e della sociologia.
L’idea di un mondo policentrico, il destino dell’Europa, la rinascita di un nuovo umanesimo, la necessità di una riforma del pensiero attraverso un’etica della fraternità.
Ed ancora: l’urgenza di un nuovo assetto mondiale economico sotto il segno della solidarietà, il bisogno di una nuova scienza polidisciplinare, la riforma dell’organizzazione dei saperi e la necessità di educare gli educatori: sono alcune delle questioni centrali che il grande sociologo francese ha posto alla base della sua riflessione sul futuro del mondo e dell’umanità.
“Cambiamo strada”
Nelle scorse settimane la casa editrice Cortina ha tradotto e pubblicato il suo ultimo lavoro, un piccolo testo preziosissimo: Cambiamo strada. Lezioni del coronavirus (pagine 124, euro 11) che inizia in questo modo:
Sono una vittima dell’epidemia di influenza spagnola, e ne sono quasi morto, sono infatti nato morto e sono stato rianimato, attraverso ripetuti scossoni, dal ginecologo che mi tenne appeso per i piedi per trenta minuti.
Un testo da leggere perché con molta lucidità mette a tema le sfide che il coronavirus pone al paradigma dell’Occidente, quello della modernità e immagina anche la gestazione di uno prossimo, consapevole che sarà un processo lungo e complesso.
“Mai siamo stati reclusi fisicamente come nel confinamento e tuttavia mai siamo stati così aperti al destino terrestre. Siamo condannati a riflettere sulle nostre vite, sulla nostra relazione con il mondo e sul mondo stesso. Il post coronavirus è inquietante quanto la crisi stessa. Potrebbe essere sia apocalittico sia portatore di speranza. Ma quale sarà? La crisi sanitaria, economica, politica e sociale porterà a una disgregazione delle nostre società? Sapremo trarre una lezione da questa pandemia che ha rivelato a tutti gli umani una comunità di destino strettamente connessa con il destino bioecologico del pianeta? Eccoci entrati nell’era delle incertezze. L’avvenire imprevedibile è oggi in gestazione”.
Un interrogativo dal quale nessuno può sottrarsi
Da dove iniziare? Mi ha molto colpito che scrivendo nel testo le15 lezioni del Coronavirus abbia iniziato con la “lezione sulle nostre esistenze” che si apre con una domanda: “Come vivi?” Un interrogativo al quale nessuno di noi può sottrarsi, qualunque sia la condizione e il ruolo. Una domanda cruciale perché, sostiene Morin, nessun cambiamento potrà nascere se non dalla convinzione e dalla consapevolezza dei presupposti e delle conseguenze del nostro modo di vivere.
Il sociologo francese sa che servono tante trasformazioni necessarie contemporaneamente: economiche, sociali, personali, etiche. Ma, insieme, riconosce che ovunque nel mondo, grazie a questa crisi globale, sono comparsi miriadi di sorgenti, miriadi di rivoli, che unendosi potrebbero formare ruscelli e confluire in corsi d’acqua, da cui potrebbe nascere un grande fiume.
“Come vivi?” può stare dunque come mezuzah sugli stipiti delle nostre porte. Per ricordare ogni giorno a noi, abitanti, confusi e disorientati, del pluriverso, che attraverso ciò che scegliamo o non scegliamo, agiamo o non agiamo, possiamo essere capaci di dare senso e indirizzo alla nostra vita e a quella del mondo. Nonostante tutto.