Papa Francesco è stato eletto Papa il 13 marzo 2013
Tra poche settimane saranno cinque anni dall’elezione al soglio pontificio di Francesco, il papa “venuto dalla fine del mondo”. Un vero e proprio tsunami che, in nome del Vangelo, ha scosso profondamente i cristiani, specie quelli d’Occidente. Che ha rimesso al centro, anche attraverso un’efficace pedagogia dei gesti, parole di sempre in parte offuscate nel presente: periferie, scarto, uscita, ultimi, coscienza, discernimento, misericordia… Che ha avviato una riforma della Chiesa in primis e della Curia poi, specie sui temi della finanza e della trasparenza, pur consapevole che “fare le riforme a Roma è come pulire la Sfinge d’Egitto con uno spazzolino da denti”.
Le conseguenze sono state tante. Meno, probabilmente, di quelle sperate ma è indubbio che papa Francesco ha avviato un processo dagli esiti non scontati. D’altronde, ricordo quello che scrisse sulla rivista Popoli nel dicembre del 2014 padre Federico Lombardi, gesuita e primo portavoce di Bergoglio: “Quello di Francesco non è un disegno organico alternativo, è piuttosto un mettere in moto una realtà complessa come la Chiesa. È una Chiesa in cammino. Lui non impone la sua visione e il suo modo di agire. Chiede e ascolta i diversi pareri. Non sa dove andrà: si affida allo Spirito Santo”.
Le molte critiche
Tante sono state le critiche, soprattutto da parte dei cattolici identitari, quelli che amano il Papa fino a quando il Papa pensa e parla come loro: Francesco non è stato eletto legittimamente, è eretico, vuole canonizzare perfino Martin Lutero. In cinque anni di pontificato i critici, fuori e in particolare dentro la Chiesa cattolica, hanno attaccato Bergoglio accusandolo di eresia, di poco Vangelo e tante rampogne terzomondiste, di omelie al limite del comizio politico e non poche gaffe, dell’ossessione per i migranti, di essere più metereologo che teologo, di avere pochi dogmi e tanta confusione. Critiche condivise (e raccontate in modo più sfumato) anche da molti preti delle nostre parti. Autorevoli commentatori evidenziano la profonda inerzia nella quale sembra essere caduto l’episcopato, specie italiano, in riferimento alle sollecitazioni papali e la più generale apatia delle nostre parrocchie.
La molta popolarità
A dispetto di tutto questo, Francesco gode di una grandissima simpatia popolare, per il suo linguaggio franco che non usa artifizi retorici o giri di parole; per il coraggio di alcuni gesti semplici, autentici, che lo rendono credibile rispetto alle parole; per il suo stile confidenziale che abbraccia, tocca stringe senza voler affermare la sacralità della sua persona; per la franchezza con cui si pone, che non nasconde o edulcora la realtà delle cose, che l’ha portato recentemente, ad esempio, ad ammettere di aver sbagliato nel rispondere alla domanda di una cronista radiofonica sul caso Barros, primo esplicito mea culpa di un Papa che riconosce un suo errore.
Siamo grati al Signore per la grazia di questo pontificato che, attraverso gesti e parole, ha obbligato tutti ad una prospettiva di conversione per ricentrarsi sull’essenziale del Vangelo, l’unico metro di misura valido per chi si dice cristiano. Che con decisione ha obbligato i credenti a distinguere ciò che è centrale da ciò che è periferico nella fede e nei modi in cui essa si esprime. Che ha immaginato la Chiesa, nel segno della misericordia, come “ospedale da campo” per gli uomini del nostro tempo, al di là delle frontiere confessionali, in grado di interloquire, sull’umano, con tutti. Perché, come ripete spesso, la Chiesa è il Vangelo, non il legalismo del bianco e del nero.
Cristiani come il fratello maggiore della parabola
In fondo, come sostiene don Giovanni Nicolini,
Indietro non si potrà tornare, anche se è di drammatica attualità la parabola del figliol prodigo. Sono duemila anni che noi aspettiamo di sapere se il fratello maggiore si sia deciso o meno a entrare in casa, dopo che suo padre ha ammazzato il vitello grasso per il fratello dissoluto che è tornato indietro non perché pentito ma solo per fame. Oggi vi sono cristiani che, come il fratello maggiore, non si ritrovano in questa Chiesa che spalanca le porte. Io credo che le ragioni di queste persone vadano rispettate ma che poi si debba comunque fare festa. Alla fine il fratello maggiore capirà che questa è la casa di Dio e non è un tribunale.
Daniele Rocchetti