«L’aspetto positivo dell’accordo tra Unione europea e Turchia sui migranti consiste nel riconoscere la necessità di un governo del fenomeno migratorio e di un’iniziativa straordinaria di fronte alla massa di profughi di guerra fuggiti da conflitti che alcuni Stati della stessa Europa hanno contribuito in modo determinante a innescare». Non vanno oltre questo rilievo, secondo Gianni Bottalico, presidente nazionale delle Acli, le note positive dell’accordo raggiunto il 18 marzo pomeriggio a Bruxelles tra Unione europea e Turchia su migranti e rifugiati.
«Questo accordo – osserva infatti Bottalico – rischia di porsi ai limiti del diritto internazionale, suona come un deterrente verso quanti hanno bisogno della solidarietà europea, pretende di operare una discutibile distinzione tra rifugiati e migranti economici, presuppone l’esistenza di condizioni per la sua attuazione lontano dall’essere realizzate sia in Grecia che in Turchia e non affronta l’altro nodo cruciale del ricollocamento dei profughi fra i Paesi membri dell’Ue.
E soprattutto, – prosegue Bottalico – perché sortisca un qualche effetto tangibile, tale accordo dovrà essere accompagnato da un’iniziativa diplomatica forte per favorire la stabilizzazione, la ricomposizione di un’unità statuale e la ricostruzione di quegli stati devastati da guerre e terrorismo che, come ha ricordato questa mattina il presidente della Repubblica Sergio Mattarella dall’Università di Yaoundé in Camerun, sono frutto di “politiche errate” “di numerosi Paesi anche europei, che hanno ampie responsabilità “nell’aver concorso a creare in passato condizioni di instabilità”.
Inoltre va osservato che i segni di involuzione manifestati dal Governo di Ankara negli ultimi anni, nel campo dei diritti umani in particolare attraverso la repressione cruenta delle istanze dell’etnia curda, dell’indipendenza della magistratura, del rispetto della libertà di stampa, sono la diretta conseguenza della strategia di destabilizzazione e di regime change delle cosiddette “primavere arabe”.
L’Occidente, negli ultimi quindici anni di guerre, dall’Afghanistan alla Siria, ha favorito o addirittura perseguito di fatto la divisione per linee etniche e religiose del Medio Oriente, a prezzo di milioni di morti e di profughi, della pulizia etnica delle minoranze religiose, in primis dei cristiani, ma così facendo ha risvegliato le ambizioni imperiali neo-ottomane della Turchia, che prima procedeva verso la democratizzazione e lo sviluppo. Anche rispetto a questo – conclude il presidente delle Acli – i Paesi europei, insieme agli Stati uniti, devono assumersi le loro responsabilità, lasciandosi alle spalle le politiche del passato».