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Bose, il sogno delle Acli e la speranza dell’uomo

Per il quarto anno consecutivo le Acli si sono ritrovate a Bose per il loro annuale Incontro di Spiritualità.

La prima giornata, venerdì 14 febbraio, dell’Incontro nazionale di Spiritualità delle Acli è scandita dalla relazione del Priore di Bose, Luciano Manicardi, sulla grammatica della spiritualità cristiana. Il primo punto messo in chiaro dal priore è che in un mondo fluido, dove a volte c’è perfino una bulimia di spiritualità come quella riferita al new age, alle pratiche orientaleggianti, bisogna mettere subito in chiaro che lo spirituale cristiano si fonda sul Logos, cioè sulla parola di Dio. Ecco perché il paradigma dell’ascolto è prioritario nella nostra fede, anche se spesso questa si basa sul devozionismo, sulla taumaturgia o sul miracolismo. “Dobbiamo affermare con forza – ci dice Manicardi – che il cristianesimo si fonda sulla memoria, sulla fede e sull’intelligenza delle Sacre Scritture. Senza Scrittura Cristo non può salvare nessuno. E la Parola, che si accompagna sempre allo Spirito, ci rivela anche l’uomo Gesù. Per questo motivo i vangeli sono una scuola di umanizzazione: una Chiesa che voglia annunciare oggi il Vangelo deve annunciare l’umanità di Gesù. Solo innestandoci nell’umanità di Cristo noi potremo trasformare la nostra umanità a Sua immagine e somiglianza”. Un altro punto su cui il priore ha voluto soffermarsi è stata la centralità dell’ascolto. “L’ascolto è il verbo della conversione e anche quello della libera scelta. L’ascolto – ha continuato Manicardi – è il punto di intersezione tra i sensi e lo spirito: la Parola abita lo sguardo e si rende visibile facendosi carne. È così che la vita spirituale è anche vita corporea, non c’è contrapposizione tra questi due aspetti”.

Sabato 15 febbraio hanno portato il loro contributo i sociologi Chiara Giaccardi e Mauro Magatti che partendo dal loro ultimo libro, La scommessa cattolica, hanno tracciato una quadro della nostra società che definiamo post-moderna e che vive un momento di analfabetismo religioso che nei più giovani è indifferenza, ignoranza, irrilevanza. “È il momento di farsi delle domande e di camminare in cerca di risposte – ha detto la Giaccardi – la Parola è itinerante, se rimane ferma è come un cembalo vuoto e d’altronde ce lo dimostra lo stesso Gesù che nella sua predicazione non ha fatto altro che camminare. La scommessa cattolica significa che noi non abbiamo certezza, abbiamo una verità senza certezza per preservare nostra libertà, noi riceviamo un invito ma rimaniamo nel rischio. Rischio è il contrario di “mettere in sicurezza” che oggi va per la maggiore. La logica cristiana è la logica del paradosso, è il perdere la vita per trovarla, è la fede in un vero Dio che è anche vero uomo: c’è una tensione tra polarità apparentemente incompatibili, ed è la stessa tensione che sperimentiamo in noi stessi, esseri capaci di volare altissimo ma anche di trasformarci in persone orribili. Ecco, la scommessa cattolica è che noi abitiamo e vogliamo continuare ad abitare questa tensione scomodissima ma feconda, senza cancellare questi due poli né tantomeno cercare di inserirli in una gerarchia dicendo quale sia il buono e quale il cattivo. Da questa polarità nascono anche le nostre idee, abbiamo i nostri slanci creativi”. Il prof. Magatti ha continuato: “In questi ultimi 50 anni il nostro io si è liberato, è come se fosse entrato in un’epoca di benessere in cui non deve più obbedire a nessuno, può inseguire i propri sogni, in cui è l’unico titolare del proprio essere ma poi ci siamo costruiti uno scafandro, siamo tutti nello scafandro del nostro io. Questo io che, entrando in un’epoca di benessere, si è sentito di non dover obbedire a nessuno, nella possibilità di inseguire i propri desideri e i propri sogni, unico titolare del proprio essere. In questo modo abbiamo prodotto un nuovo incatenamento e ci siamo chiuso come detto ad uno scafandro. Ed è molto difficile avere un’esperienza di fede quando siamo dentro ad una navicella che ci porta dietro ai miraggi della società. Ecco perché noi diciamo che il cristianesimo, rispetto alla crisi di oggi, fa l’esperienza dello squilibrio ed è impossibile reagire a questo squilibrio con un ritorno all’indietro, con una pretesa di controllo. Siamo essere desideranti e qui siamo entrati dentro un inganno perché la società circostante mangia il nostro desiderio e così nessuno incontra Dio e nessuno incontra nessuno. Il cristianesimo deve portare una parola fondamentale all’uomo contemporaneo perché il tema del desiderio esclude l’altro, bisogna trovare il modo per uscire dallo scafandro: l’antidoto è trovare la vita donando la propria vita agli altri, e questo lo possiamo capire molto bene vicino a persone che hanno già vissuto questo precipizio, persone traumatizzate che hanno sfiorato la morte e per questo ora vivono pienamente. Questa attenzione per gli ultimi la dobbiamo accompagnare con una vita di preghiera, è l’altro che ci avvicina a Dio, e il recupero di questo rapporto ci renderà di nuovo umani”.

La mattinata si è conclusa con le riflessioni del teologo Don Armando Matteo che ha ripreso il filo del discorso sulla crisi dei valori del nostro tempo, sottolineando come il prolungamento della vita media e il culto dell’eterna giovinezza dell’uomo moderno, che non vuole mai diventare adult,o porti con sé un profondo cambiamento anche nel tipo di evangelizzazione che la Chiesa propone. “Fino ad oggi infatti la modalità prioritaria è stata quella della consolazione: appena diventavi adulto entravi in una vita di sacrificio dove la Chiesa ti diceva essere l’unica in grado di darti una consolazione. Oggi la consolazione gli uomini la trovano da altre parti – ha detto Don Matteo – e soprattutto l’uomo non diventa mai adulto, manca perfino il passaggio più semplice, quello della generatività. Ecco perché bisogna passare da un cristianesimo della consolazione ad un cristianesimo dell’innamoramento e questo significa che serve un grande atto di coraggio. Va cambiata radicalmente la spiritualità ma anche la pastorale, una pastorale dell’incrocio, capace di trasformare la parrocchia in luogo in cui chiunque possa incrociarsi con Gesù e innamorarsi di lui. In questo senso potrebbero rivelarsi fondamentali questi cinque elementi: la preghiera, che sia rinnovata e incentrata sulla relazione, sul dialogo con Gesù; l’esercizio dei sentimenti di Gesù e cioè avere la stessa compassione, sentire con lui e sentire come lui; mistica della fraternità, perché la fede è personale ma nello stesso tempo comunitaria; profezia, cioè la capacità di cogliere senza risentimenti cioè che è vivo e ci che è morto, nelle dinamiche sociali ed ecclesiali; economia delle generatività, riprendendo un problema già citato, se gli adulti non vogliono diventare adulti sarà difficile che i piccoli lo diventino. Serve una testimonianza cristiana capace di dire di nuovo la bellezza dell’essere adulto, dell’essere responsabile, dell’essere generativo, dell’essere donativo.

Il pomeriggio si è aperto con alcune riflessioni dell’Accompagnatore spirituale delle Acli, Don Giovanni Nicolini, che ha voluto rimarcare come nella Chiesa di oggi sia necessario riportare l’attenzione sul femminile, la Chiesa senza il femminile è impoverita in modo gravissimo, tante comunità cristiane sono in piedi solo perché ci sono le donne, anche nelle famiglie spesso è così. Prima della preghiera con la comunità, il regista teatrale Gabriele Vacis ha letto alcuni capitoli de Il pranzo di Babette, “un’opera che tratta di ciò che al centro del vostro incontro – ha detto Vacis – perché per capire la spiritualità abbiamo bisogno di storie”.
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