L’VIII Congresso Nazionale di Bari del 1961 consegna la vittoria alla corrente di Livio Labor.
Labor è protagonista, da tempo, dell’elaborazione culturale e politica del movimento che, attraverso la rivista Moc. Idee, problemi, dibattiti nel movimento operaio cristiano, (il cui primo numero esce nel novembre 1960) propone una visione forte delle Acli come “gruppo di influenza ideologica e culturale e di coerente e autonoma pressione sociale. […] Solo una classe dirigente educata a pagare di persona, ad operare veramente a titolo personale e pronta a impegnarsi, almeno per un certo periodo di anni, in modo esclusivo e totale nelle Acli sarà in grado di maturare quello stile di posizioni originali, a titolo di movimento che sono destinate a rivelare ai lavoratori il volto di un movimento veramente nuovo. Così il movimento arricchirà le classi dirigenti di nuovi capi naturali, capaci di assumersi responsabilità a tutti i livelli: uomini tutti d’un pezzo non abituati a dire per paura ogni frase solo a metà, a lasciarsi portare sulla cresta dell’onda e ad ubbidire solo per conformismo o per interesse.” (Livio Labor, in “Moc. Idee, problemi, dibattiti nel movimento operaio cristiano”, n.1/1960)
L’iniziativa è del tutto inedita nell’esperienza delle Acli. Per la prima volta dalla loro fondazione prende vita un gruppo organizzato, una corrente interna con finalità dichiarate e con una proposta completa di programmi e di classe dirigente alternativi a quelli esistenti. È la corrente che si afferma al Congresso di Bari, in seguito al quale Labor viene eletto presidente nazionale. La vittoria congressuale di Labor non è schiacciante: 33 consiglieri nazionali eletti contro 28 della parte antagonista. Il dibattito affronta il tema “L’iniziativa dei lavoratori nello sviluppo della società italiana”. Il congresso è equanime anche nella votazione dei due documenti, quello ideologico e quello organizzativo, presentati rispettivamente da Penazzato e da Labor: unanimità per entrambi.
L’interpretazione del congresso è inevitabilmente quella del vincitore. Labor non ha nulla da eccepire sulla riproposizione delle coordinate ormai tradizionali del movimento aclista, codificate in più di un congresso. A lui sta a cuore che l’azione sociale aclista raggiunga il più alto grado di incisività possibile.
Solo l’iniziativa sociale diretta del movimento operaio nella storia moderna fa crescere una classe dirigente, una cultura ed una forza propria, realmente incisive. Applicando il tutto alle Acli, ne consegue che esse al di là della formazione, dei servizi e al di là della iniziativa sociale indiretta, compiuta dagli aclisti nel partito, nel sindacato, nelle pubbliche istituzioni a tutti i livelli, devono sviluppare l’azione sociale diretta a titolo di movimento, sapendo che essa qualifica ed omogeneizza il movimento, la sua formazione, i servizi ed insieme fornisce orientamenti ideologici, obiettivi precisi e vigore propulsivo all’azione a titolo personale compiuta dagli aclisti.
[…] Che militanti e dirigenti concordino pienamente sulla vera concezione delle Acli quale organica e originale sintesi dei tre momenti distinti reciprocamente condizionantisi, ma unitariamente confluenti, della formazione, dei servizi sociali e dell’azione sociale, con un esplicito primato di quest’ultima alla quale vanno finalizzate le stesse attività di formazione e la strutturazione dei servizi. (Relazione generale di Livio Labor all’VIII Congresso Nazionale Acli, 10 dicembre 1961)
Inizia un “nuovo corso” per le Acli, che durerà otto anni (1961-1969), in cui giunge all’apice la capacità di proposta politica originale del movimento.