Domenica – 28 maggio 2017 – Anno A
Parola del giorno: At 1,1-11; Sal 46; Ef 1,17-23; Mt 28,16-20
DAL VANGELO SECONDO MATTEO (Mt 28,16-20)
In quel tempo, 16gli undici discepoli, intanto, andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato. 17Quando lo videro, si prostrarono. Essi però dubitarono. 18Gesù si avvicinò e disse loro: «A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. 19Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, 20insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo».
COMMENTO AL VANGELO
a cura di don Cristiano Re, accompagnatore spirituale Acli Bergamo
Siamo i suoi discepoli e dunque chiamati ad essere i narratori di Dio nel mondo «Andate… fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli…, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato». Non so se capita a voi come tante volte a me di pensare che avremmo più volentieri optato per un’altra soluzione, magari più semplice per tutti. Insomma un poco di sano Regno di Dio con tutti i crismi del caso nel quale tra l’altro noi potremmo sperare non troppo segretamente in un qualche posto di riguardo. E invece no; perché si possa arrivare al dono dell’“Io sono con voi sino alla fine”, il per sempre della resurrezione, c’è bisogno di andare, battezzare, insegnare, costruire relazioni che sappiamo portare Dio nel cuore di chi si ha davanti, nella storia che ci chiede di essere attraversata.
C’è una frase di don Primo Mazzolari che mi fermo a leggere spesso prima del lavoro, “E’ finito il tempo di fare da spettatore sotto il pretesto che si è onesti cristiani…Troppi ancora hanno le mani pulite perché non hanno ancora fatto niente“. Vuol dire che non possiamo mai dire: “intanto che il Regno di Dio non sia ancora compiuto, io sto a guardare il cielo; intanto che le cose non vanno come devono andare io guardo il cielo; intanto che la mia comunità, i parrocchiani, i preti, i ragazzi dell’oratorio, si mettono apposto, io guardo il cielo”. Quante volte ho guardato il cielo! È così bello, fermarsi a guardare il cielo. Magari con un poco di nostalgia delle “cose di lassù” e forse perché non ne possiamo più di “quelle di quaggiù”; eppure il Vangelo è chiarissimo dicendoci che dobbiamo saper guardare in terra, guardare la concretezza dell’annuncio perché questo è il nostro tempo; tempo della responsabilità che nasce anzitutto dal “sì” che noi possiamo dire o non dire; dalla fiducia che esprimiamo oppure no.
Per fare questo, occorre, come ci dice il Vangelo, “andare in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato“; occorre, cioè, ritornare alle origini, alle cose importanti, al momento in cui Gesù ha posto lo sguardo su di noi e ci ha conquistato, e lo abbiamo seguito.
Significa partire dalla povertà di questa mia parrocchia, della mia associazione, dal senso di disagio che provo nel vivere in una Chiesa un poco scassata e scostante, magari incoerente. In questa nostra Italia che fatica. Non è una Chiesa muscolosa e super prestante quella che annuncia con verità, ma quella in conversione e nel sincero impegno verso l’autenticità e l’incontro e il servizio all’uomo; “Andate… fate discepoli… battezzate… insegnate“.
Ma chi ci può riuscire? Con quali possibilità? Che strumenti abbiamo a disposizione per farlo? Oggi diremmo: «Con quale progetto pastorale? Con quali bilanci preventivi?». Domande che denotano un atteggiamento di fondo, ci dicono che ancora non abbiamo ben capito quale sia il centro della questione. Non dipende tutto da noi con le nostre più o meno sviluppate capacità, ma da Dio! È lui, la forza! È lui, la strategia! È lui, il progetto pastorale! È lui, la possibilità! «Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo». Questa è la nostra “marcia in più”.