Aprire un centro di accoglienza per ogni attentato che si verifica: è questa la proposta dell’Ipsia-Istituto Pace Sviluppo Innovazione Acli del Trentino in risposta a chi vorrebbe, con ogni mezzo, gli immigrati fuori dalla propria provincia.
Da ottobre a marzo gli attentati a strutture che si preparavano ad accogliere i rifugiati sono stati tre: “la modalità – spiega Fabio Pipinato, presidente dell’Ipsia del Trentino – è sempre la stessa. Gli attentatori arrivano di notte e bruciano le porte dei futuri centri di accoglienza senza preoccuparsi se dentro c’è qualcuno o no. In un caso c’erano 13 persone. La nostra risposta come Ipsia del Trentino è di aprire un centro per ogni attentato. Gli attentatori diventano così corresponsabili dell’apertura”.
La prossima apertura è prevista per il 22 aprile in risposta all’attentato avvenuto nella Valle del Chiese. Sarà il terzo centro: il primo, gestito dal Centro Astalli dei Gesuiti, accoglie tra le 6 e le 8 persone. Un’altra struttura ha 8 posti letto e l’ultimo accoglie 4 persone: una madre con tre figli che frequenteranno la scuola nel paese che li ospita.
Ciò che colpisce sono i piccoli numeri: gli immigrati non superano la decina di persone in ogni centro. “Non possiamo portare troppe persone in paesi di mille abitanti perché l’impatto sarebbe troppo forte. Con piccoli numeri invece l’integrazione e l’accettazione è più facile”.
Ogni profugo riceve i pasti dall’organizzazione “Trentino solidale” che recupera alimenti non scaduti dai supermercati, un piccolo rimborso di 2-3 euro al giorno, vestiti e scatolame dalla Caritas e una tessera per i trasporti dalla Provincia.
Oltre a gestire o a mettere a disposizione le strutture, Ipsia prepara e sensibilizza il territorio: “Informiamo i sindaci, le comunità di valle, le asl, i medici e le parrocchie. C’è una preparazione della comunità in modo che sia più disposta ad accogliere. Per non creare frizioni, il territorio deve essere avvisato per tempo e coinvolto”.
“Ciò che sconsigliamo sempre è invece ospitare queste persone nelle proprie case: hanno usanze e tradizioni diverse ed è meglio affidarsi a persone esperte che possono gestire la situazione, che conoscono gli usi e la lingua di chi arriva in Italia e possono favorire la convivenza”.
“Il privato sociale – conclude Pipinato – è la strada migliore per l’accoglienza. Un esempio è l’Associazione Trentina Accoglienza Stranieri – Atas’, nata con il contributo de le Acli, che si occupa di facilitare l’incontro con altre culture: al suo interno 40 operatori esperti gestiscono 80 appartamenti. Assieme ad altre 4 associazioni creiamo occupazione per 200 operatori giovani trentini che controllano che le usanze di chi è accolto non entrino in conflitto con quelle locali e che gli alloggi siano mantenuti in buono stato”.
Insomma accoglienza sì, ma non fai da te.