Animo, Europa.

Nei giorni più difficili per noi, diamo uno sguardo all’Europa. Lo abbiamo fatto venerdì con Patrizia Toia e Fabio Massimo Castaldo (qui la diretta completa), lo facciamo attraverso l’osservatorio attento del Movimento Europeo e delle nostre reti internazionali EZA e MTCE.

In questo momento di grave eccezionalità il dibattito sul ruolo delle istituzioni europee e l’atteggiamento dei singoli Paesi è uno dei temi caldi. Se da una parte la pandemia sembra quasi aver colpito di sorpresa il nostro continente, seppur le raccomandazioni degli esperti erano chiare anche all’opinione pubblica, oggi siamo arrivati dopo non poca fatica ad un allineamento delle istituzioni europee sulla necessità di un intervento straordinario sulla gestione del futuro economico del continente. Una crisi che sarà mondiale vista l’interconnessione economica irreversibile. Una crisi che si innesca a quella che doveva essere, il 9 maggio a Dubrovnik, la vigilia della conferenza sul futuro dell’Europa che si poneva come obiettivo anche una riforma istituzionale che partisse dai cittadini, riforma necessaria per ridare forza al progetto fondativo.

Oggi la priorità è imprimere forza e dignità alla cooperazione rafforzata tra i Paesi e dare un segno inequivocabile contro gli egoismi dei nazionalismi che ancora nel nostro continente sono presenti.

In questo momento sono due le grandi questioni sulle quali l’Europa deve dare un segnale forte.

Prima questione: come è possibile che un evento come questo, ampiamente preventivabile, possa essere gestito su base nazionale e non, almeno, continentale?

Se Commissione e Parlamento non hanno competenze specifiche su questo tema se non complementari, il tema del coordinamento delle politiche, sanitarie soprattutto in uno stato di emergenza continentale, è assolutamente necessario. Oggi sono due le strutture europee che si occupano di salute: il centro per il controllo e la prevenzione delle malattie (ECDC) e l’Agenzia europea per i medicinali (EMA). Possibile che la salute sia solamente una questione burocratica e che non possa essere sostenuta da una competenza politica che la Commissione possa avocare a sé in una situazione di emergenza? Questa crisi avrà tempi più lunghi nella sua gestione proprio per questa scarsissima capacità di coordinamento, considerando che le politiche di contenimento del virus sono sfalsate e diverse per ogni paese e che ci sarà un riflesso in ogni settore, specialmente in quello della mobilità. Molto semplice oggi, infatti, sostenere la sospensione del Trattato di Schengen, più giusto sarebbe farlo in modo coordinato e non “a Paesi alterni”. In prospettiva sarebbe molto interessante vedere gli sviluppi di un lavoro di mitigamento delle disuguaglianze sanitarie anche nel nostro continente.

Seconda questione: quanto sarà utile l’Europa per uscire dalla crisi economica prodotta da questo periodo di fermo delle nostre attività economiche e sociali? Sarà vitale.

Le ACLI in questi anni hanno promosso una idea di Europa molto chiara: diamo un’anima all’Europa. Avevamo scelto tre grandi capitoli di investimento sui quali i Paesi potrebbero dare un segnale importante in termini di diritti e innovazione sulle politiche del lavoro e del welfare. Il riconoscimento della formazione per il lavoratore come un diritto sociale fondamentale, l’investimento nelle politiche di welfare e di transizione ecologica.

Oggi siamo stati superati dalla realtà. Non saranno sufficienti piccole manovre per rendere meno traumatica la ripartenza dopo questi mesi tragici. Avremo bisogno di una Europa che parla con una sola voce e investe nella vita delle persone. Dopo le prime settimane di tentennamenti la strada della solidarietà europea pare sia quella condivisa da tutti. L’Europa, alla prova del coronavirus, speriamo torni ad essere un luogo fertile di solidarietà e speranza.

Non si parte da zero. Il piano “Boosting investments in social infrastructure in Europe” presieduto da Romano Prodi, prevede un investimento di 150 miliardi che, con il meccanismo di finanziamento pubblico-privato, propone una propulsione sociale dell’Europa, dalla formazione agli alloggi sociali. Questo sul medio periodo, mentre sul breve la necessità di sostenere occupazione e imprese di fronte ad uno scenario di forte contrazione dei PIL dei paesi europei è determinante. Come abbiamo già proposto in occasione delle elezioni europee, oggi ancora di più i Paesi devono spostare la tassazione sulla finanza e sul digitale (Web tax e Tobin tax) e dotarsi di strumenti di debito pubblico più convenienti. Se da una parte la sospensione del meccanismo europeo di stabilità dà la possibilità ai Paesi di sostenere la ripresa economica, in prospettiva il debito pubblico dei singoli paesi peserà ancora di più sulle spalle delle generazioni future. Il progetto di Eurobond, sul quale si fondano le speranze di una integrazione europea solidale, sarebbe una risposta strutturata e stabile. Questo strumento, insieme all’impegno della BCE di sostegno al credito per 750 miliardi di euro, potrebbe essere l’inizio di un vero new deal europeo. Animo, Europa.

 

Matteo Bracciali

Vicepresidente Federazione Internazionale delle Acli