Siamo ormai abituati a parlare di povertà coi numeri statistici. Pensiamo al dato e poi la mente visualizza qualche “barbone” che vediamo per strada o negli interstizi della nostra città. Li vediamo… a intermittenza: a volte con la coda dell’occhio o fingendo di non vederli; a volte il nostro sguardo frettoloso non ci bada proprio, sente solo l’odore. Stabilizzare lo sguardo sarebbe già un bel passo in avanti.
I poveri sono sofferenza fatta carne: sono uomini, donne, bambini. Il messaggio del Papa per la III Giornata mondiale dei poveri chiama tutti – politici, associazioni e società civile, – ad assumersi le proprie responsabilità di fronte alle vecchie e nuove povertà che ogni giorno minano il futuro di numeri consistenti di persone: popolazioni intere, devastate dalle guerre e dai cambiamenti climatici.
Quello del Papa è un appello a non voltarsi dall’altra parte di fronte “alle nuove forme di schiavitù a cui sono sottoposti milioni di uomini, donne, giovani e bambini”, schiavi della povertà e degli interessi della criminalità organizzata, di politiche “economiche miopi”, di violenze e umiliazioni. Ma poi si va oltre. Nella concretezza che caratterizza questo Papa, parte l’appello affinché non ci si fermi alle sporadiche iniziative di carità. Papa Francesco chiede qualcosa di più, ovvero restituire a queste persone la speranza e la fiducia nel futuro a chi la speranza l’ha persa e a chi il futuro non sa cosa sia: a non dar loro la colpa della povertà, lo stigma dell’inadeguatezza.
In Italia, secondo i dati diffusi dall’Istat (eccoci ai dati), l’incidenza della povertà assoluta sulle famiglie con 4 componenti è dell’8,9%, del 19,6% se i componenti salgono a 5; mentre per gli stranieri è del 30%. E sono 1,26 milioni i minori che vivono in povertà assoluta, contro gli 1,2 dell’anno prima. Questa condizione coinvolge 52mila minori in più rispetto al 2017: 52mila minori che non hanno accesso al minimo indispensabile per vivere una quotidianità dignitosa.
Tra questi poveri non sono conteggiati gli stranieri in fuga: quella è un’altra storia ancora. “Si possono costruire tanti muri – spiega Papa Bergoglio – e sbarrare gli ingressi per illudersi di sentirsi sicuri con le proprie ricchezze a danno di quanti si lasciano fuori. Non sarà così per sempre”, perché ogni genitore scalerà quel muro per portare il figlio al sicuro, ogni madre navigherà ogni mare su una piccola barca per la propria prole, ogni bambino attraverserà il deserto per arrivare in un posto senza bombe e fame sperando di sedersi a un banco di scuola. I cristiani non possono essere indifferenti di fronte a questa realtà: e in alcun caso non possiamo affermare che c’è un “prima qualcuno” perché, come dice Francesco, c’è un intero popolo, quello cristiano, “che, sparso tra tante nazioni, ha la vocazione di non far sentire nessuno straniero o escluso, perché tutti coinvolge in un comune cammino di salvezza”. È per questo che Francesco dà un compito spiegato attraverso quattro verbi: accogliere, proteggere, promuovere e integrare.
Le questioni sono dunque tante e complesse. Ma non è la complessità a spaventarci: abbiamo la tecnica e la conoscenza per limitare il problema e portarlo a qualche soluzione positiva. Occorre solo una forte volontà politica a non fermarsi a qualche dichiarazione o a qualche provvedimento ancora molto imperfetto.
In Italia, ad esempio, occorrerebbe una revisione del Reddito di cittadinanza, che va riequilibrato in favore dei minori e degli stranieri, almeno ripristinando la situazione esistente al tempo del ReI. Sarebbero poi necessari degli investimenti di medio e lungo periodo, per un vero piano contro la povertà assoluta, che punti su formazione e inclusione, rafforzando tutti i soggetti coinvolti nella presa in carico dei cittadini in povertà. Infine servirebbe rivedere il nostro sistema di sostegno alla famiglia: le politiche familiari, come al solito, sono al palo.
E poi non ci sono solo le politiche direttamente orientate a contrastare la povertà. Ci sono anche quelle indirette. E tra queste non possiamo dimenticare la necessità che il Paese si doti di una seria politica industriale. Il caso dell’Ilva ci dice anche questo: non avere un disegno a medio periodo conduce un’impresa a fallire e una città a rischiare di morire o di impoverirsi significativamente. La povertà si cura anche partendo da altri punti: siccome tutto è connesso, allora anche la povertà si può contrastare così.
La povertà è una questione che non riguarda solo i poveri. È anche un mistero che continua ad accompagnarci nella storia del mondo: perché non si risolve pur sapendo quasi tutto sul tema? Il povero – scriveva don Primo Mazzolari – è una protesta contro le nostre ingiustizie, è una polveriera. Maneggiare con cautela, potremmo dire, allora: ma mai perdere la presa e la volontà di tenere.