Di Daniele Rocchetti, delegato nazionale alla Vita cristiana
Dalla carta di Mercatore a quella di Peters
Quando andavo a scuola alle elementari faceva bella mostra sulla parete dell’aula la carta di Mercatore. Era la proiezione proposta nel 1569 dal geografo e cartografo – fiammingo di nascita ma tedesco di origine – Gerardo Mercatore. Una carta concepita essenzialmente per agevolare il tracciamento di rotte sulla superficie terreste. Ma per le sue modalità di costruzione, distorceva in maniera drastica le effettive proporzioni tra le superfici dei vari continenti. Producendo una rappresentazione che molti poi hanno introiettato: l‛Europa si trovava al centro del mondo e al centro dell’Europa c’era la Germania, patria elettiva del geografo. Al centro sia in senso latitudinale che longitudinale: l‛equatore era spostato decisamente verso il basso, dove avrebbe dovuto esserci il Tropico; i Paesi colonizzatori apparivano molto più grandi rispetto alla loro area reale. Pur essendo dunque molto utile per la navigazione e basata su criteri scientifici, la Carta di Mercatore forniva un‛immagine del mondo non accettabile soprattutto dal punto di vista dei popoli del Sud. Perché ogni mappa geografica è inevitabilmente una mappa politica che porta con sé una visione del mondo e dei rapporti tra Stati e popoli.
Più di 400 anni dopo, uno storico e cartografo tedesco Arno Peters ha realizzato una Carta – che prende appunto il nome di Carta di Peters – con l’obiettivo di mantenere le proporzioni, attraverso una scomposizione del mondo in 100 parti orizzontali e 100 verticali e a una rappresentazione che mantiene sempre gli ortogonali, su un piano a due dimensioni, i meridiani e i paralleli. Quello che Peters voleva recuperare – anche attraverso il rispetto delle dimensioni di ogni singolo Paese – era la dignità di ogni popolo, la sua giusta dimensione. Una lettura “anticoloniale” che dà al Sud del mondo la stessa importanza del Nord. Sapendo che ogni proiezione della sfera sul piano impone delle deformazioni, Peters si rese conto che l’esatta proporzione delle superfici andava a scapito dell’esattezza delle distanze. I continenti nella sua Carta assumono così una forma allungata. Dunque la Carta di Peters non è perfetta ma certamente più rappresentativa di quella di Mercatore.
Non cambia il Vangelo, cambia lo sguardo
Questa lunga premessa aiuta a mostrare ancora una volta la novità del pontificato di papa Francesco. Il papa “venuto dalla fine del mondo” continua a chiedere alla Chiesa, soprattutto all’affaticata Chiesa d’Occidente, di aggiornare le mappe per poter leggere meglio il vangelo. La vicenda cristiana – a partire dalla storia di Gesù di Nazareth – è sempre storicamente situata e non si può pensare di comprenderla tenendo in mano e interpretando il mondo con le mappe di ieri. Soprattutto se hanno sempre l’Europa al centro. Questo non significa che cambia il Vangelo, cambia semmai lo sguardo con sui si affrontano i problemi. Perché è importante il testo ma insieme anche il contesto. Se si legge il Vangelo dalle periferie, con gli occhi di chi fa più fatica e dei poveri (“volto di Cristo”) esso assume un’altra prospettiva perché “è dallo scarto che Dio tira fuori la salvezza”. Poco prima che morisse, dopo aver pubblicato la Pacem in Terris, papa Giovanni fu accusato da un giornale di aver cambiato il Vangelo per andare incontro ai comunisti. Mons.Capovilla ha più volte riferito la frase del papa bergamasco: “Non è il Vangelo che cambia, siamo noi che cominciamo a comprenderlo meglio”.
La verità del Vangelo sta sempre davanti
Il coraggio di indire un Sinodo dell’Amazzonia sta in questo: assumere uno sguardo particolare per imparare ad averne uno più ampio. Lo dovremmo fare anche noi, dalle nostre parti. Consapevoli che “la retina porta ancora impressi i lampi della vecchia immagine e quella nuova appare ancora in una vaghezza indiscernibile” (G.Zanchi). Senza nostalgie o rancori ma con coraggio e speranza. Perché la verità del Vangelo sta sempre davanti. Non dietro o peggio in tasca.