“Lo sconcerto e lo sdegno per la notizia dell’inchiesta sullo sfruttamento del lavoro che ora sta coinvolgendo Grafica Veneta, ma che il mese scorso riguardava braccianti schiavizzati a Cessalto, deve necessariamente trasformarsi in conoscenza e consapevolezza. Eppure il tema ha già esaurito la notizia e non se ne trova quasi più traccia, il silenzio su questa piaga si rifà assordante”.
Con queste parole il presidente delle ACLI provinciali di Treviso Alessandro Pierobon esprime a nome dell’associazione lo sdegno per quanto sta emergendo dalle inchieste sui lavoratori sfruttati in varie realtà produttive del Veneto, tra queste il recente blitz in una azienda di prestigio nel campo editoriale, la Grafica Veneta appunto, sottolineando che è necessario non considerarli casi isolati ma parte di un sistema più ampio che vede i lavoratori più deboli vittime di caporalato e sfruttamento.
«Chi opera a fianco dei lavoratori, nel presidio del territorio o nei progetti sociali di contrasto ad ogni forma di sfruttamento sa che non si tratta di casi isolati anche qui nel trevigiano e che il lavoro dignitoso per tutti è ancora un miraggio. Solo che, nella migliore delle ipotesi, si ritiene che questa piaga coinvolga soprattutto gli occupati più o meno stagionali dell’agricoltura e il mondo del lavoro domestico. Invece ora emerge inequivocabilmente che riguarda anche il personale di ditte che gestiscono servizi esternalizzati da parte di imprese, esercizi commerciali, trasporti, sanità, assistenza. Non siamo solo Rosarno, dunque, ma come va dicendo da parecchio anche il Network antitratta per il Veneto coinvolge realtà diverse, piccole e grandi».
«Un secondo aspetto vale la pena di essere approfondito: non è una casualità se ad essere coinvolte in forme di sfruttamento lavorativo sono soprattutto persone d’origine straniera, più “facilmente” ricattabili a vari livelli. La dimensione lavorativa è collegata al titolo di soggiorno in Italia e all’abitare, elementi per nulla secondari nella partita della permanenza nel nostro paese. E questo ci spinge a chiederci dove sono, oggi, le persone “liberate” dalla schiavitù del caporalato ma non integrate in alcun percorso di inclusione? Come si mantengono? Quali prospettive di lavoro dignitoso si aprono per loro?».
«E’ evidentemente molto complesso correggere questa drammatica stortura della nostra società – continua -, specie perché la presenza para-schiavistica di un sistema di sfruttamento del lavoro permette a tutti di godere di prestazioni, beni e servizi a costi meno esosi. Le azioni di contrasto e controllo sono tutte necessarie, le norme legislative vanno seriamente applicate. Nei tavoli preposti ci sono poi progetti di monitoraggio ed emersione. Oltre a questo, però, servono percorsi e proposte di tutela delle vittime di sfruttamento lavorativo e una azione preventiva di ampia portata, che renda consapevoli tutti di una piaga che non possiamo più relegare solo ad alcune aree del Paese».
Pierobon conclude il suo intervento riaffermando l’impegno delle ACLI trevigiane per promuovere diritti e lavoro dignitoso a partire dal territorio: «Da ultimo per sollecitare le nostre comunità a non accettare passivamente che questi fatti continuino a succedere, smorzando le reazioni e cadendo velocemente nell’oblio, crediamo sia necessario trovare modi per tenere alta l’attenzione; per quel che starà a noi, il nostro impegno, come associazione e dentro alle reti cui partecipiamo, andrà nella direzione di promuovere percorsi di approfondimento e progettazioni che sempre più mirino a informare, prevenire, tutelare. Sul serio».