La lotta alla mafia e alla criminalità in Italia attraversa i decenni, sono tantissimi gli uomini e le donne che si sono opposte e hanno condotto battaglie antimafia, chi a partire da un impegno politico, come Pio La Torre e il giovane Peppino Impastato, chi da giornalista, come Pippo Fava, chi da uomo dello Stato, e sono tantissimi fino al sacrificio di Falcone e Borsellino, chi infine decidendo in solitudine di liberarsi di un patto precedentemente subito passivamente, tra queste tante donne.
Una lotta e un impegno che sempre ha presentato un conto durissimo, dall’isolamento sociale, ai depistaggi, spesso fino alla morte.
L’incontro “La Voce di Impastato”: da Peppino Impastato a Mafia Capitale”, che si terrà il 12 aprile presso la sede dell’ANPI a Parigi, parte dalla storia del giovane siciliano militante della sinistra extra-parlamentare che tra gli anni ’60 e ’70 ha fatto della lotta alla mafia un impegno politico totale, lui che viveva in terra di mafia, a Cinisi, feudo di don Tano Badalamenti
L’evento, organizzato dall’ANPI e dalle ACLI di Parigi con ACLI France, Latérale e Musica Italiana, è l’occasione per presentare il libro “La Voce di Impastato” che, dopo il successo dell’omonimo documentario, è diventato un progetto editoriale frutto della collaborazione tra il giornalista Ivan Vadori ed il fotografo Elia Falaschi.
Il libro traccia il percorso d’inchiesta giornalistica dell’autore Vadori, che approfondisce i rapporti tra Stato e mafia partendo dall’attivismo di Peppino Impastato per arrivare a Mafia Capitale ed alle mafie del Nord.
Si ricostruiscono i fatti grazie alle testimonianze di chi la mafia la combatte in casa propria, nel proprio lavoro, nelle aule dei tribunali o sulle pagine stampate. Da don Ciotti a Gian Carlo Caselli, da Franca Imbergamo a Giovanni Impastato, da Lirio Abbate a Carlo Lucarelli. Un inserto fotografico d’autore arricchisce il lavoro mostrando i volti di chi lotta, senza paura e con determinazione.
La prefazione del volume è di Giovanni Impastato, fratello di Peppino che con la mamma Felicia ha condotto una dura battaglia contro il depistaggio che per anni tentò di presentare la morte del giovane non come omicidio di mafia, ma come morte accidentale nel tentativo di fare un attentato terroristico.
Anni di lotte in tribunale hanno infine riconosciuto che Peppino venne sì dilaniato da una bomba, ma prima venne ucciso dai killer del boss Badalamenti, da lui duramente attaccato pubblicamente per i suoi crimini e traffici criminali.