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Achille Grandi, nel 75° dalla sua morte l’attualità del suo messaggio per il lavoro sociale, educativo e politico delle Acli

Il 28 settembre di 75 anni fa moriva Achille Grandi, padre costituente della nostra Repubblica,  fondatore e primo Presidente delle Acli.

Nato a Como nell’agosto del 1883, Grandi era il primo di quattro figli di una modesta famiglia operaia. Suo padre faceva il “tintore”, ma quando perse il lavoro Achille, appena undicenne, dovette andare a lavorare in una tipografia. A meno di venti anni si distingue come animatore dell’associazionismo sindacale nella città di Como. Nel 1905 è tra i fondatori di un giornale cattolico La vita del popolo. L’anno successivo, nel 1906, si sposa con Maria Croato che rimarrà sua fedele compagna per tutta la vita. Nel 1908 viene eletto consigliere provinciale e comunale di Como.

Durante la prima guerra mondiale si schierò su posizioni neutraliste. Achille Grandi fu tra i pochi del Partito popolare che non votarono a favore del governo Mussolini, formato all’indomani della marcia su Roma. Scelse con altri parlamentari (popolari, socialisti, repubblicani e comunisti) la strada dell’Aventino. Grandi era pienamente cosciente di ciò che attendeva l’Italia negli anni futuri, tanto è vero che il 2 agosto 1926 scrisse il suo testamento spirituale.
Così, a 43 anni, Achille Grandi si trovò disoccupato, politicamente e intellettualmente. Fu costretto a fare i lavori più disparati: amministratore del Caffè Carminati di piazza del Duomo, del ristorante Biffi e Grande Italia in Galleria a Milano. Furono dieci anni circa di estrema precarietà economica.

Intorno al 1940 Grandi prende parte ai primi incontri clandestini tra i cattolici di Milano. Nel 1942 il gruppo di Milano si incontrerà più volte con il gruppo di Roma di Alcide De Gasperi. Da questi incontri nascerà la futura Democrazia cristiana.

Negli stessi anni Achille Grandi maturò l’idea di dar vita a quelle che poi, con il nome coniato da Vittorino Veronese, si chiameranno le Acli. Dall’agosto del 1944, Grandi è presidente delle Acli, ma nel 14 febbraio 1945 rassegna le dimissioni. Le sue condizioni di salute si aggravano e per questo dovrà ricoverarsi presso l’ospedale Fatebenefratelli di Roma.

Achille Grandi rimane nella storia del nostro Paese come uno dei più limpidi interpreti del cattolicesimo sociale, artefice dell’unità sindacale, antifascista e democratico.

Fu uno dei più decisi fautori della scena sindacale unitaria, e il clima creatosi nella prima ricostruzione democratica consensuale delle tre grandi forze politiche e sociali, permise alle Acli di superare le diffidenze iniziali di buona parte delle forze di sinistra e di giocare un ruolo di animazione e crescita popolare della coscienza civile tra i lavoratori nella breve stagione della Costituente

 

Oggi, nel 75° della sua morte, la sua figura ci lascia alcune riflessioni  per il nostro lavoro sociale, educativo e politico.

 

La prima è la modernità del suo approccio alla questione sindacale, che egli aveva imparato per così dire da autodidatta, avendo incominciato a lavorare come apprendista tipografo a undici anni, interrompendo gli studi dopo la licenza elementare,  per aiutare la famiglia. Ad esempio, in un suo articolo del 1903 per il giornale del sindacato cattolico dei tessili, alla possibilità che singoli lavoratori scambiassero un maggior numero di ore di lavoro con  un maggiore guadagno, Grandi  contrapponeva la “coscienza operaia formata coll’onesta educazione e rafforzata dall’organizzazione” che doveva “tendere in modo principale al vantaggio collettivo”: in sostanza affermava la preferibilità dei contratti collettivi sanciti da accordi sindacali alla contrattazione personale, anche se economicamente vantaggiosa per qualcuno a scapito di molti altri. Nello stesso tempo, egli fu sostenitore della necessità di un’organizzazione del sindacalismo cattolico che andasse oltre le semplici organizzazioni di categoria, e per questo partecipò al fianco di Gronchi, di Rapelli e di altri alla costituzione della Confederazione italiana del lavoro (CIL), che, se non ebbe mai i grandi numeri della CGL socialista, rappresentò comunque una fase organizzativa più avanzata della prassi sindacale dei cattolici, e in alcune località, ad esempio in Brianza e nel Veneto, venne considerata dai fascisti un pericolo tale da giustificare il largo uso della violenza per stroncarla.

 

La seconda riflessione che ci ispira Grandi è la profonda coscienza dell’autonomia dei laici impegnati nell’attività sociale e politica, che era complementare alla sua fede autentica, profonda e semplice, e che si espresse fin da giovane nell’adesione al Fascio democratico cristiano di Romolo Murri e poi nella sua conduzione del Segretariato delle Opere cattoliche della Diocesi di Como, dal quale venne licenziato per la sua ripetuta opposizione – della quale aveva convinto anche la maggioranza della direzione diocesana, al Patto Gentiloni, cioè all’allineamento dei cattolici alla destra liberale. Spostatosi a Monza, proseguì la sua attività ispirandosi agli stessi principi, e, su questa base, fu chiamato da don Sturzo ad essere fra i fondatori del Partito Popolare, entrando successivamente in Parlamento e lì opponendosi sempre più risolutamente ad ogni intesa col fascismo. In ognuna di queste scelte si vide anche la sua disponibilità a pagare di persona: infatti, quando venne dichiarato decaduto dal mandato parlamentare come tutti i deputati che avevano aderito all’Aventino, Grandi utilizzò la sua liquidazione per pagare gli ultimi stipendi ai dipendenti della CIL, disciolta d’autorità come tutti i sindacati non fascisti, e negli anni successivi si adattò a vivere in quasi povertà svolgendo lavori di ogni tipo con l’unico conforto della vicinanza della moglie Maria.

 

La terza riflessione  ci viene sicuramente dal suo spirito unitario: se sotto il profilo politico Grandi fu sempre un assertore della necessità di una presenza autonoma di chi si identificava negli ideali del popolarismo e del cattolicesimo sociale (e in questo spirito partecipò ai lavoro preparatori clandestini che portarono alla fondazione della Democrazia Cristiana) nello stesso tempo si convinse che la divisione delle forze del lavoro fosse stata una delle cause dell’affermazione del fascismo e per questo, pur sapendo che non tutti all’interno della DC e della stessa Gerarchia ecclesiastica erano d’accordo, avviò le trattative con il comunista Di Vittorio ed il socialista Buozzi (poi ucciso dai nazisti) per la rinascita unitaria del sindacalismo con la costituzione della CGIL, nella quale egli avrebbe rappresentato la Corrente sindacale cristiana. Come ebbe a scrivere sul “Popolo” all’indomani della firma costitutiva della nuova Confederazione avvenuta nella Roma finalmente liberata, l’accordo raggiunto scaturiva “dall’impegno morale (…) di favorire l’avvento di un regime democratico parlamentare largamente rappresentativo di tutte le correnti progressiste nel campo sociale” e portava “come logica conseguenza all’unità dei lavoratori di ogni grado nel campo sindacale” eliminando “nel rispetto reciproco di ogni convinzione politica e di fede religiosa” e con le dovute garanzie per le minoranze “ogni tentativo di settarietà di parte e di dannosa concorrenza”. In un certo senso, la stessa nascita delle ACLI come espressione della Corrente sindacale cristiana fu il segno della volontà di preservare un’autonomia politica di fondo, laddove i riferimenti esterni per socialisti e comunisti rimanevano i rispettivi partiti. Probabilmente, se gli fosse stato consentito di vivere ancora – si spense il 27 settembre 1946, da poco eletto Vicepresidente dell’Assemblea Costituente – Grandi avrebbe dovuto prendere atto dell’insuperabilità dei problemi che ostavano all’unità sindacale e della successiva ripresa di autonomia dei sindacalisti cristiani, ma l’avrebbe vissuta come una sconfitta.

 

Sguardo attento e critico allo sviluppo concreto delle cose, fedeltà ai principi da declinare autonomamente, ricerca di ciò che unisce prima di quello che oggettivamente divide: sono tre virtù che anche adesso sono necessarie a chi opera nella dimensione sociale e politica, e a maggior ragione bisogna essere grati per la sua lezione ad Achille Grandi, che operò in tempi difficili e tempestosi avendo come unica bussola la sua fede e la sua coscienza.

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