“Per ragioni di comodità e vicinanza abbiamo dovuto trasferire mia madre dal centro della città in periferia. L’assistente familiare non è stata molto contenta della decisione e ora pretende che le paghiamo una maggiorazione per il fatto che adesso impiega più di 30 minuti a raggiungere il posto di lavoro. Ha ragione?”
Nel rapporto di lavoro domestico, il trasferimento del datore di lavoro o dell’assistito da una parte all’altra della città non da diritto ad alcuna maggiorazione a meno che il trasferimento interessi lo spostamento da un comune all’altro, indipendentemente dalla effettiva distanza chilometrica esistente tra il luogo originario e il luogo di trasferimento.
L’art. 31 del Ccnl stabilisce, infatti che: “In caso di trasferimento in altro comune, il lavoratore deve essere preavvisato, per iscritto, almeno 15 giorni prima. Al lavoratore trasferito deve essere corrisposta, per i primi 15 giorni di assegnazione alla nuova sede di lavoro, una diaria pari al 20% della retribuzione globale di fatto afferente tale periodo”.
E’ dunque prevista una diaria giornaliera (una maggiorazione) pari al 20% della retribuzione globale di fatto (quindi comprensiva di vitto e alloggio) solo se il trasferimento avviene verso un Comune diverso e comunque per un periodo limitato ai primi quindici giorni di lavoro presso la nuova sede.
La richiesta di una maggiorazione nel caso di trasferimento da una parte all’altra della città, anche se condivisibile, a causa dell’aumento dei costi di trasporto, non è dunque contrattualmente prevista e rientra dunque nella libera contrattazione delle parti, che rimangono libere di regolare i rapporti tra loro, in senso migliorativo.
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