Enciclica “Dilexit nos”, impegniamo il nostro cuore nel cercare ciò che unisce e non ciò che divide

La questione radicale che papa Francesco pone a tutti i credenti nella nuova Enciclica “Dilexit nos” uscita ieri è questa: “ Invece di cercare soddisfazioni superficiali e di recitare una parte davanti agli altri, la cosa migliore è lasciar emergere domande che contano: chi sono veramente, che cosa cerco, che senso voglio che abbiano la mia vita, le mie scelte o le mie azioni, perché e per quale scopo sono in questo mondo, come valuterò la mia esistenza quando arriverà alla fine, che significato vorrei che avesse tutto ciò che vivo, chi voglio essere davanti agli altri, chi sono davanti a Dio. Queste domande mi portano al mio cuore.” (8)

Il cuore degli esseri umani è il luogo in cui dimorano gli affetti più profondi e maturano le decisioni più radicali, il luogo “che mi distingue, mi configura nella mia identità spirituale e mi mette in comunione con le altre persone” (14), e quindi anche con il Cuore di Cristo, con la Sua volontà di bene proiettata su tutta la natura umana, per redimerla e trasfigurarla.

Nel cuore si ricompone la frammentarietà della persona umana e delle sue esperienze, e proprio per questo in esso si ricapitolano tutte le motivazioni più profonde che ci spingono ad essere ciò che vogliamo essere.

E in pari tempo “Prendere sul serio il cuore ha conseguenze sociali. Come insegna il Concilio Vaticano II, «ciascuno di noi deve adoperarsi per mutare il suo cuore, aprendo gli occhi sul mondo intero e su tutte quelle cose che gli uomini possono compiere insieme per condurre l’umanità verso un migliore destino».  Perché «gli squilibri di cui soffre il mondo contemporaneo si collegano con quel più profondo squilibrio che è radicato nel cuore dell’uomo». Di fronte ai drammi del mondo, il Concilio invita a tornare al cuore, spiegando che l’essere umano «nella sua interiorità, trascende l’universo delle cose: in quelle profondità egli torna, quando fa ritorno a se stesso, là dove lo aspetta quel Dio che scruta i cuori (cfr 1 Sam 16,7; Ger 17,10) là dove sotto lo sguardo di Dio egli decide del suo destino»”(29).

La devozione al Sacro Cuore viene quindi riscattata dal facile e tranquillo devozionismo, e diventa stimolo, fuoco interiore, aspirazione al cambiamento radicale di se stessi e del mondo fuori di noi, in comunione con le sorelle ed i fratelli e tutte le persone di buona volontà.

Per questo motivo nessuno dovrebbe pensare che questa devozione possa separarci o distrarci da Gesù Cristo e dal suo amore. In modo spontaneo e diretto ci indirizza a Lui e a Lui solo, che ci chiama a una preziosa amicizia fatta di dialogo, affetto, fiducia, adorazione. Questo Cristo dal cuore trafitto e ardente è lo stesso che è nato a Betlemme per amore; è quello che camminava per la Galilea guarendo, accarezzando, riversando misericordia; è quello che ci ha amati fino alla fine aprendo le braccia sulla croce. Infine, è lo stesso che è risorto e vive glorioso in mezzo a noi” (51).

E questa dimensione spirituale va riscoperta giorno per giorno, nel cammino di ciascuno di noi, qualunque sia la nostra condizione di vita, particolarmente per quelle persone che si sentono chiamate ad una forte vocazione sociale, in cui la fede deve essere complementare alle opere, e mai la prima deve essere vissuta come pretesto per le seconde, o viceversa, superando il dualismo “di comunità e pastori concentrati solo su attività esterne, riforme strutturali prive di Vangelo, organizzazioni ossessive, progetti mondani, riflessioni secolarizzate, su varie proposte presentate come requisiti che a volte si pretende di imporre a tutti. Ne risulta spesso un cristianesimo che ha dimenticato la tenerezza della fede, la gioia della dedizione al servizio, il fervore della missione da persona a persona, l’esser conquistati dalla bellezza di Cristo, l’emozionante gratitudine per l’amicizia che Egli offre e per il senso ultimo che dà alla vita personale” (88).

Proprio la ricomposizione dell’unità della persona deve essere lo sforzo costante dei credenti, unendo una forte vita interiore, che si alimenta della preghiera e della lettura e meditazione della Parola di Dio, con la capacità di intervenire attivamente a dare il proprio contributo per cercare di  risanare le piaghe del mondo : “Che culto sarebbe per Cristo se ci accontentassimo di un rapporto individuale senza interesse per aiutare gli altri a soffrire meno e a vivere meglio? Potrà forse piacere al Cuore che ha tanto amato se rimaniamo in un’esperienza religiosa intima, senza conseguenze fraterne e sociali? Siamo onesti e leggiamo la Parola di Dio nella sua interezza. Ma per questo stesso motivo diciamo che non si tratta nemmeno di una promozione sociale priva di significato religioso, che alla fine sarebbe volere per l’uomo meno di quello che Dio vuole dargli” (205).

Fin dalla seconda metà del XIX secolo fu evidente a molte grandi figure del cattolicesimo italiano ed europeo il legame fra la devozione al Sacro Cuore e l’impegno sociale: lo fu ad esempio per Leone Dehon, che al Sacro Cuore intitolò la Congregazione da lui fondata, e non è un caso che numerosi suoi seguaci abbiano attivamente contribuito ad ispirare e rafforzare la vita religiosa delle ACLI, da padre Aurelio Boschini a padre Elio Della Zuanna.

Più in generale, il richiamo del Papa a rimettere tutte le azioni umane sotto il “dominio politico” (13) del cuore è un appello a tutti noi a ricercare quello che unisce piuttosto che quello che divide, a lottare contro l’aggressività, l’avidità, la brama di potere e tutti gli altri mali che devastano il cuore dell’uomo e, di conseguenza, devastano la terra che gli uomini abitano, mettendola a rischio con le guerre, le carestie, le pandemie e la distruzione dell’ambiente.

Le ACLI, per quello che è nella loro possibilità, desiderano rispondere a questo appello religioso e sociale con il proprio stile di credenti impegnati nel mondo di oggi, determinati a impegnare il loro cuore nell’affermazione dei bisogni e delle aspirazioni più profondi della persona umana, in particolare dei piccoli e dei poveri.