Il messaggio del Papa per la 56ma Giornata della Pace richiama una volta di più l’umanità al suo destino comune, a partire dalla gravissima crisi della pandemia da COVID-19 da cui stiamo uscendo con difficoltà.
La pandemia, ci ricorda il Papa, “ci ha fatto piombare nel cuore della notte, destabilizzando la nostra vita ordinaria, mettendo a soqquadro i nostri piani e le nostre abitudini, ribaltando l’apparente tranquillità anche delle società più privilegiate, generando disorientamento e sofferenza, causando la morte di tanti nostri fratelli e sorelle”.
Le sofferenze sono state tante, sia quelle fisiche, sia quelle economiche e sociali derivanti dall’interruzione dell’attività produttiva e commerciale ordinaria, sia quelle derivanti dall’inaudita compressione dei più elementari diritti umani, a partire da quello di circolare liberamente.
Dopo tre anni, argomenta Francesco, “siamo chiamati a chiederci: che cosa abbiamo imparato da questa situazione di pandemia? Quali nuovi cammini dovremo intraprendere per abbandonare le catene delle nostre vecchie abitudini, per essere meglio preparati, per osare la novità? Quali segni di vita e di speranza possiamo cogliere per andare aventi e cercare di rendere migliore il nostro mondo?”.
La via che il Papa suggerisce ai credenti e a tutta l’umanità è quella del riconoscimento del dato di fatto della fratellanza umana , del destino comune di tutta l’umanità, che nella prospettiva cristiana nasce dalla comune figliolanza divina e in una prospettiva laica dalla realistica presa d’atto che siamo tutti nella stessa barca, soffriamo degli stessi mali e abbiamo bisogno di solidarietà e di condivisione.
Non è una favola consolatoria, ma un dato di realtà, che le risposte più efficaci alla pandemia e alle sue conseguenze sono quelle che sono nate da uno sforzo solidale, sia quello degli scienziati che hanno operato rapidamente per trovare nuovi vaccini e cure, sia quello di “gruppi sociali, istituzioni pubbliche e private, organizzazioni internazionali uniti per rispondere alla sfida, lasciando da parte interessi particolari”.
Alla sfida del virus si è unita quella della guerra in Ucraina, che , insieme a tutti gli altri conflitti armati del mondo, ci ricorda la forza pervasiva del male, un male che nasce da ambizioni di potenza, avidità, storture sociali….
Un male antico quanto l’umanità, e per questo da affrontare pazientemente nella quotidianità, attraverso lo sforzo del dialogo, della reciproca comprensione, della conversione, sapendo leggere al di là delle parole altisonanti , guardando alla radice dei problemi e riconoscendo l’oggettività delle sfide che abbiamo di fronte.
E il Papa è chiarissimo su queste sfide: garantire la salute pubblica, promuovere azioni di pace per superare i conflitti, prenderci cura della Terra, la nostra casa comune, combattere il “virus delle diseguaglianze” e impegnarci perché tutti abbiano casa, cibo e lavoro, promuovere l’accoglienza e l’integrazione in particolare di coloro che migrano da situazioni di guerra e povertà.
“Solo spendendoci in queste situazioni, con un desiderio altruista ispirato all’amore infinito e misericordioso di Dio, potremo costruire un mondo nuovo e contribuire a edificare il Regno di Dio, che è Regno di amore, di giustizia e di pace”.
Le ACLI assumono queste parole come indicazioni per il loro lavoro, che nel corso degli anni si è radicato nella dimensione sociale cercando di inverare i principi del Vangelo e dell’insegnamento sociale della Chiesa, cercando, nei rapporti con le altre realtà sociali di diversa ispirazione, quello che unisce e non quello che divide, nella prospettiva della costruzione di un mondo a misura della persona umana.
Il messaggio di papa Francesco, una volta di più, ci rincuora, e ci indica una strada.