Si è svolto ieri, 7 settembre, a Roma il seminario “Un nuovo patto per la non autosufficienza”, promosso da Acli e Caritas Italiana. È stato un’occasione per ribadire l’urgenza di portare a termine il percorso avviato con la nascita del Patto per un nuovo welfare sulla non autosufficienza a cui aderiscono, oltre a Caritas e Acli, circa 50 organizzazioni unite nell’intento di costruire insieme una proposta di riforma dell’assistenza alle persone non autosufficienti, presentata da Cristiano Gori, coordinatore scientifico del Patto. Il nostro paese l’attende da oltre 30 anni e ora non possiamo né dobbiamo rinunciare.
La proposta elaborata dal Patto prevede la creazione di un unico Sistema Nazionale Assistenza Anziani (SNA) che inglobi tutti gli strumenti, i servizi e le misure dedicati alla non autosufficienza. In questo modo, in linea con gli altri Paesi europei, la non autosufficienza verrebbe riconosciuta come settore specifico e autonomo rispetto agli altri comparti del welfare italiano. Oltre all’indipendenza da altri ambiti, con la riforma si supererebbe anche l’attuale e irrazionale separazione degli interventi tra sociale e sanitario e si definirebbero sia Livelli Essenziali di Assistenza (LEA), in ambito sanitario, che Livelli Essenziali delle Prestazioni Sociali (LEPS), sul versante sociale, così da rendere sempre di più l’assistenza per i non autosufficienti un diritto pubblico garantito in ogni contesto. Si realizzerebbe poi una integrazione complessiva (programmazione, coordinamento e gestione dei casi) di tutta la filiera dell’assistenza, a ogni livello, statale, regionale e locale, ognuno secondo le proprie competenze. Lo SNA supererebbe anche l’attuale pluralità dispersiva di valutazioni della condizione di salute individuale, riducendole a due: una nazionale per l’accesso allo SNA e per ottenere le misure nazionali e l’altra affidata ai territori per i servizi locali e per le prestazioni di loro competenza. La proposta prevede anche la modifica dell’indennità di accompagnamento, che diventerebbe una prestazione universale “dosata” sulla base dell’effettivo bisogno di assistenza e collegata anche direttamente alla fruizione di servizi di supporto. Tutto il complesso degli interventi si semplificherebbe con risposte più facili da ottenere per le famiglie e un maggior riconoscimento per operatori e caregiver. Infine, con il nuovo sistema di assistenza la domiciliarità e la residenzialità saranno più integrate, continue e appropriate.
Come sottolineato dal Direttore di Caritas Italiana, Don Marco Pagniello, il metodo di lavoro utilizzato dal Patto ricorda il cammino sinodale che la Chiesa sta percorrendo in questo momento: un metodo basato sull’ascolto reciproco tra le organizzazioni che quotidianamente lavorano su questi temi e sulla competenza di esperti. Competenze che non possono mancare fra coloro che si occupano dell’assistenza agli anziani non autosufficienti, come ha ricordato Don Massimo Angelelli, Direttore dell’Ufficio Nazionale per la pastorale della salute, precisando che occorre distinguere tra dolore e sofferenza: il primo va curato con il ricorso agli apporti specialistici di ordine medico-sanitario, mentre la sofferenza, spesso dovuta alla solitudine, richiede vicinanza, comprensione, empatia, qualità che dovrebbero essere tipiche della “comunità sanante”. Il compito delle organizzazioni della società civile è proprio dare corpo a questa nuova dimensione comunitaria attraverso il loro lavoro sui territori, capillare e accanto alle persone. Ciò anche grazie alla realizzazione a livello locale di un welfare di prossimità, come sostenuto da Giancarlo Penza durante il suo intervento.
Ecco gli spunti più importanti usciti dal convegno del 7 settembre:
· occorre giungere al più presto all’approvazione della legge delega su cui il Governo sta lavorando da tempo, evitando il rischio che si ricominci tutto daccapo: la riforma sulla non autosufficienza riguarda già oggi 3milioni di persone non più autonome ed è urgente intervenire per sostenerle adeguatamente;
· in questa fase elettorale, non può quello dell’assistenza agli anziani non autosufficienti non essere un tema che riguarda trasversalmente tutti i partiti in corsa: la politica dovrà dunque fare la sua parte;
· le organizzazioni sociali, per parte loro, sono chiamate a sensibilizzare la società “fuori”, mediante un presidio costante e facendo pressione sul Governo affinché venga approvata non una riforma qualunque, ma una buona riforma: “infatti una scelta di politica sbagliata può incidere sulle vite dei cittadini”, come ha affermato Antonio Russo, vicepresidente delle Acli;
· inoltre, secondo Roberto Franchini, le associazioni sono chiamate a supportare i territori nel difficile compito di declinare a livello locale la riforma, considerando che l’obiettivo ultimo è la qualità della vita degli anziani e delle loro famiglie. Ciò vuol dire costruire progetti di vita, tenendo conto dei loro bisogni specifici, poiché la situazione fisica degli anziani è positivamente condizionata dal benessere psicologico;
· la realizzazione della riforma richiede poi risorse economiche dirette, cioè appositamente stanziate e strutturali, e indirette, ricavabili dai risparmi che si otterrebbero da una adeguata prevenzione e una appropriata, tempestiva e duratura assistenza socio-sanitaria;
· questa riforma permette anche di rafforzare la qualità redistributiva del welfare, offrendo risposte giuste alle persone in condizioni di bisogno nelle diverse fasi della loro vita, come ha sostenuto il presidente delle Acli, Emiliano Manfredonia;
· dobbiamo, infine, evitare il rischio che incombe drammaticamente su tutti i settori del welfare, nessuno escluso, e cioè la mancanza di operatori dedicati, opportunamente formati, in numero adeguato e socialmente riconosciuti. L’assenza di personale comprometterebbe ogni tentativo di realizzare una riforma completa e ci allontanerebbe da quello scenario di cambiamento di cui invece il nostro paese ha bisogno oggi più che mai.
Qui la registrazione integrale dell’evento