Il futuro è adesso, le riforme in futuro

Uno studio britannico rilasciato dalla società di ricerca FastFuture.com afferma che tra le professioni, che da oggi al 2030 potranno essere praticate, ve ne saranno alcune che oggi neppure immaginiamo. Quindi niente corsi di formazione o vocazioni precoci, solo tardive, solo intuitive, per quanto – ovviamente – collegate alla società elettronica, che rende reale il virtuale.

Le prime posizioni di questa suggestiva classifica ci fanno toccare con mano la realtà che potrebbe essere: costruttore di parti del corpo, nanomedico, allevatore genetista, agricoltore verticale, chirurgo per l’aumento della memoria, etico, guardiano dei periodi di quarantena, avvocato virtuale, responsabile per lo smaltimento dei dati personali, gestore della vita digitale, broker del tempo, assistente sociale per social network, personal brander (il personal trainer lo avevamo già metabolizzato)…

Fatto salvo che le previsioni della società inglese siano azzeccate, intanto possiamo osservare che di queste cose potremmo averne bisogno davvero, si pensi all’aumento della memoria o alla gestione dei dati personali sui social network. Quindi, il bisogno c’è, quello che manca è la proposta organizzata ed economicamente sostenibile. Nell’attesa ci diciamo almeno due cose.

La prima è che in un momento di transizione, un Paese progredito come il nostro ha il dovere di scrutare scientificamente i segni di futuro che già oggi intravvediamo e provare a innestarli nel dibattito pubblico, almeno per verificarne la tenuta e sollecitare qualche esperimento. In un Paese che vive spesso di culto del passato, qualche risorsa dedicata allo studio del futuro sociale, economico e culturale (sulla politica apriamo il dibattito, non escludendo l’I-ching) potrebbe anche spenderla. Il redivivo Cnel – a cui il futuro è stato appena riconsegnato o regalato – potrebbe interessarsene.

La seconda è che quando pensiamo al futuro non dobbiamo limitarci a pensare al presente con in più una spruzzata di elettronica o il supporto di qualche dispositivo intelligente. Sarebbe come – riprendendo una bella immagine contenuta nell’ultimo rapporto del Censis sulla situazione del Paese – attribuire alle lavagne elettroniche o ai libri di testo in formato elettronico il compito di riformare la scuola in chiave moderna.

Le riforme che servono sono quelle che accompagnano l’idea del nuovo, cioè quale lavoratore sarà e servirà in quale società: quale esito, quale via d’uscita. Per accompagnare questo processo occorre declinarlo in politiche pubbliche: si pensi alle competenze scolastiche e alla formazione di profili professionali, alla definizione delle facoltà universitarie, alla politica per facilitare le startup innovative dal punto di vista finanziario e burocratico, alla diffusione delle buone prassi. Ricollegare scuola, lavoro e futuro è essenziale.

Aprire un dibattito così serve a immaginare di avere un futuro. Aprire un dibattito così serve anche a capire il valore delle riforme, prima che siano travolte dalla rabbia di chi dice sempre no o che è tutto sbagliato, tutto da rifare.

Roberto Rossini