Il 24 marzo la Chiesa celebra la Giornata dei martiri missionari, a ricordo di tutte quelle donne e quegli uomini che, ancora oggi, pagano con la vita l’annuncio del Vangelo. Chi gestisce un potere tirannico e oppressivo vede nel messaggio di liberazione di Cristo un’intollerabile messa in discussione del privilegio e della prepotenza. Ne è stato un tragico esempio lo scorso anno l’attentato a mons. Christian Carlassare, ferito da colpi di arma da fuoco nella sua abitazione e che, il 25 marzo, sarà consacrato Vescovo di Rumbek nel Sud Sudan.
Come Acli, non possiamo dimenticare che tale data coincide con quella dell’assassinio di monsignor Oscar Arnulfo Romero, avvenuto il 24 marzo 1980, mentre stava celebrando la messa. La figura di mons. Romero, il suo profilo di sacerdote e teologo “convertito dai poveri”, divenuto, per amore di Dio e dei fratelli, un segno di contraddizione rispetto alla violenza dei ricchi e dei potenti, che decretarono la sua morte, continua ad interrogarci su come viviamo concretamente la fede e i principi che diciamo di professare.
Anche questo tempo di guerra ci pone domande inequivocabili sulla nostra condotta quotidiana; sulle tracce di pensiero violento che continuano ad albergare in noi; su quanto siamo capaci di costruire autentici rapporti di pace senza per questo cessare di chiamare bene il bene e male il male e di farci promotori di giustizia, anche se ci costa qualcosa in termini di denaro, di reputazione e di posizione sociale.
La grande figura di mons. Romero, che Papa Francesco ha elevato agli onori degli altari insieme al suo amico Rutilio Grande e ad altri martiri della fede e della carità, ci sia di esempio e di sprone nella vita quotidiana per saper costruire, con fiducia nelle difficoltà, quella “civiltà dell’amore” che Paolo VI delineò nella Populorum progressio e che, sola, può salvare il genere umano dall’autodistruzione.