È morto Luigi Covatta, semplicemente Gigi per chiunque lo abbia conosciuto, e le ACLI sono in lutto.
Ha lavorato fino alle ultime ore di vita, come aveva sempre fatto: Gigi era di un’operosità formidabile. Lavorava e fumava, lavorava molto e fumava ancor di più. Già questo basterebbe a classificarlo come uomo di altri tempi. Intelligentissimo e coltissimo. E milanesissimo, nonostante fosse nato nel 1943 a Forio d’Ischia: per l’isola campana nutrì sempre un profondo amore.
A Milano arriva adolescente, a seguito di un papà alto funzionario degli uffici della prefettura. E della città si innamora subito. Nel capoluogo lombardo, appena iscritto all’università, si fa subito notare. In breve diventa un protagonista dell’attività politica universitaria, e dopo poco tempo viene addirittura eletto Presidente nazionale dell’Intesa, la grande organizzazione degli universitari cattolici, che verrà chiusa nella successiva tempesta del ‘68. Quest’incarico gli conferisce, per la prima volta in vita sua, una autorevolezza di tutto rispetto. Come tanti della sua generazione, travolto dalla passione politica, arriverà ad un passo dalla laurea ma non si laureerà mai, anche se la sua fama di acuto intellettuale e di studioso lo accompagnerà tutta la vita.
A Milano, nei turbolenti anni ‘60, frequenta tutti, dai gesuiti del San Fedele ai rivoluzionari di estrema sinistra. E da tutti è riconosciuto, stimato, apprezzato. Moderatamente rivoluzionario, rivoluzionariamente moderato. Unisce al rigore meneghino il calore, l’arguzia e la simpatia della sua amata Ischia. Un fuoriclasse così non poteva passare inosservato al funambolico presidente delle ACLI di allora, Livio Labor. L’incontro tra i due condizionerà per molti anni la vita di entrambi. Labor gli fa conoscere le ACLI e Gigi se ne innamora.
In quegli anni, le Associazioni Cristiane dei Lavoratori Italiani sono la maggiore forza sociale del Paese: hanno un milione di iscritti e migliaia di circoli praticamente dappertutto. In politica esprimono decine di parlamentari e migliaia di amministratori ed i partiti (DC in primis ma anche PSI e PCI) devono fare i conti con un’organizzazione capillare con gruppi dirigenziali diffusi su tutto il territorio, in grado di influire sull’opinione pubblica e a volte anche sulle scelte del Parlamento e del Governo. Le ACLI chiedono a gran voce l’unità sindacale ed un nuovo Statuto dei lavoratori. La Chiesa ha un Papa regnante, Paolo VI, al secolo Giovanni Battista Montini, che vent’anni prima fu il vero decisore ecclesiale al momento di fondare l’associazione. L’Ente di formazione professionale delle ACLI, l’ENAIP, pubblica con gran cura una rivista autorevolissima, probabilmente la migliore nel settore: “Formazione e lavoro”. È diretta da Giovanni Gozzer, il maggiore esperto italiano di politiche scolastiche e consigliere di tutti i ministri della Pubblica Istruzione del tempo. Quando arriva il ’68, Labor e Gozzer vogliono capire cosa si sta muovendo tra i giovani nel Paese. E di quale miglior testimone possono avvalersi se non di Covatta? Gigi scrive bene, molto bene, sa stare con la gente ed ha idee molte interessanti. Covatta viene chiamato senza indugi a Roma. Labor è il Presidente delle ACLI, all’ENAIP trova Gennaro Acquaviva vice presidente, ed un altro Gigi milanese, Borroni, delegato di Gioventù Aclista e del giro che si forma ne fanno parte Gabriele Gherardi ed altri ragazzotti che guardano oltre all’unità politica dei cattolici nella DC. Il dado è tratto. La pattuglia che scriverà un pezzo di storia d’Italia nei successivi anni è formata.
Nella primavera del 1969, qualche mese prima di lasciare le ACLI al congresso di Torino, Labor fonda l’ACPOL, l’Associazione di cultura politica, che vuole essere la culla della rottura dell’unità politica dei cattolici e, nei fatti, una scissione a sinistra della DC. Gigi Covatta diventa il Deus ex machina intellettuale dell’operazione. Scrive, ragiona, parla, fuma: nella sede dell’Associazione, a cento metri dalla sede storica delle Acli, sembra che faccia tutto lui. Testa fine, diventa il maggior consigliere politico di Labor e del gruppo. È direttore della rivista, un settimanale (!) che si chiama non a caso “Alternativa”. Tutto doveva essere pronto per le successive elezioni, previste nel 1973. Ma lo scioglimento anticipato delle Camere, il primo della storia repubblicana, coglie Labor e Covatta impreparati. Il disastroso risultato elettorale del partito nato dall’ACPOL, l’MPL, fa naufragare tanti sogni ed anche i percorsi di vita si spezzano. Il ‘68 è finito, l’Italia si prepara ad anni cupi, anni di piombo.
Covatta e la maggior parte dei suoi compagni, ormai avventuratisi sulle strade della sinistra italiana, decidono di entrare nel PSI: ritengono quel partito più riformista e meno ideologico del PCI, e anche più rispettoso nel valorizzare le singole personalità di questo strano gruppo di cattolici aclisti che dopo essere stati democristiani per tutta la vita, non lo sono più, e non hanno neppure tanti voti.
Nel PSI capiscono ben presto che Gigi è una testa fine e gli affidano, lui cattolico, l’incarico di capo dell’ufficio studi: cosa non banale per un partito storicamente anti clericale, pieno di atei e di massoni. Gigi milita nella corrente di Riccardo Lombardi, una vecchia conoscenza nell’ACPOL. Si guarda al socialismo di Mitterand, che in Francia, partendo da una base elettorale ristrettissima, in pochi anni sta diventando egemone a sinistra a scapito dei comunisti. Leale con Craxi senza mai diventare craxiano, diventa deputato nel 1979, per poi essere eletto per tre legislature al Senato, dove siederà fino alla grande bufera del 1994. Ricopre spesso incarichi di governo, anche se mai come ministro, sempre con ruoli che valorizzano le sue grandi passioni e dove è in possesso di competenze che raramente altri possono vantare: tre volte sottosegretario alla Pubblica Istruzione, due ai Beni culturali. Nel corso degli anni, diviene Vice Presidente della Commissione parlamentare per le Riforme istituzionali, Presidente della Commissione Lavoro del Senato, componente della prima Commissione d’inchiesta parlamentare sul caso Moro.
Sicuramente tra i suoi meriti maggiori è da considerare il lavoro di idee ed intelligenza che in quegli anni nel PSI mette in campo per svincolare la sinistra italiana dall’egemonia comunista e fornirle un’idea di governo e di futuro. È attivissimo protagonista, insieme ad intellettuali del calibro di Cafagna e Giugni, nel formulare il “Progetto socialista” del 1978 e nel formulare la fortunata “Alleanza riformatrice tra i meriti e i bisogni” nella conferenza di Rimini del 1982, forse il punto più alto per fornire un senso compiuto, intellettuale e politico, al riformismo italiano. In quegli anni vuole sempre bene alle ACLI, che però in quel contesto storico lo deludono, favorevoli come sono ad un’idea di solidarietà nazionale e di compromesso storico tra cattolici e comunisti che non lo convince. Se infatti dovessimo scrivere in una sola frase il riassunto di tutta la sua avventura politica e sociale, useremmo uno slogan a lui carissimo: “Un unico destino: cattolici uniti ai socialisti”.
Dopo la fine ingloriosa della Prima Repubblica e del PSI, Gigi Covatta ha la soddisfazione di considerare gli ideali e gli sforzi di una vita come sbagliati nei tempi in cui si cercò di realizzarli ma giusti e preveggenti negli obiettivi: le successive esperienze politiche quali la fine del PCI, l’entrata degli eredi di quest’ultimo nella famiglia socialista europea e l’esperienza dell’Ulivo gliene danno conferma. Vale per lui ciò che si disse per Livio Labor: avevano ragione, ma l’hanno avuta troppo presto.
Intanto però continua a lavorare e a produrre con un frenetico attivismo quasi stakanovista che, unito alla sua flemma da gentiluomo inglese del XIX secolo, erano la cifra del personaggio per chiunque l’abbia conosciuto. Scrive libri godibili, il più importante dei quali è sicuramente “Menscevichi. I riformisti nella storia dell’Italia repubblicana” (scherzando affermava che poteva benissimo essere intitolato “Né liberali né comunisti”), documentata saga del riformismo italiano della seconda metà del Novecento; con Giuliano Amato e Gennaro Acquaviva dà vita alla “Fondazione Socialismo”; anima convegni, incontri di studio, dibattiti; scrive per i giornali. Incurante della fine del partito che la editava, e apparentemente anche della ragione sociale a cui si ispirava il titolo, fa risorgere la rivista “Mondo operaio”, ne diventa direttore e ci lavora alacremente fino al giorno prima di morire.
Quando qualcuno muore e torna alla casa del Padre, si dice spesso “non ce n’è più di gente così”. Nel suo caso è vero: era un politico avveduto e un intellettuale di cultura autentica, in entrambi i casi senza mai volgarità e maldicenze. Le ACLI gli avevano insegnato cose che non ha mai scordato: bisogna unire il pensiero all’azione, le idee all’operosità sociale; bisogna stare con il popolo senza dimenticare la cura per le istituzioni e stare nelle istituzioni senza dimenticare la cura del popolo. E, in ogni caso, bisogna tenere la schiena dritta. Gigi Covatta ce l’ha messa tutta per rispettare un mandato che le ACLI gli avevano affidato tanti anni fa.
Caro Gigi, l’ultima volta che sei venuto in sede nazionale a via Marcora, due anni fa, su quel tuo volto tondo e sornione gli occhi brillavano di una gioia quasi infantile. Ti sentivi a casa. Riposa in pace.