Domenica 10 gennaio 2021

Dal vangelo secondo Marco (Mc 1,7-11)  

In quel tempo, Giovanni proclamava: «Viene dopo di me colui che è più forte di me: io non sono degno di chinarmi per slegare i lacci dei suoi sandali. Io vi ho battezzato con acqua, ma egli vi battezzerà in Spirito Santo». 

Ed ecco, in quei giorni, Gesù venne da Nazaret di Galilea e fu battezzato nel Giordano da Giovanni. E, subito, uscendo dall’acqua, vide squarciarsi i cieli e lo Spirito discendere verso di lui come una colomba. E venne una voce dal cielo: «Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento». 

 

 

Ti sono vicino 

A cura di don Cristiano Re, assistente spirituale delle Acli di Bergamo

 

Sappiamo tutti cosa significa e l’enorme forza che ti dà il sapere di avere qualcuno che ti vuole bene e che davvero ti sta vicino, che cammina al tuo fianco tenendoti la mano. Sentiamo il calore e l’energia di chi ci vuole bene e che si avvicina a noi perché ci tiene a noi, e ci tiene con sé per davvero. 

Ecco, oggi la parola ci dice ancora una volta con ostinazione e ce lo ripete sempre, che Dio si fa vicino.   

Lì, al Giordano, lo vediamo venire e farsi vicino, colmare la distanza, il suo non temere quella strana compagnia di uomini e donne in fila per intraprendere un cammino di cambiamento rispetto a quelle scelte e a quelle distanze quando il male ha avuto la meglio sul bene che potevamo essere per noi e per gli altri. 

Dio “non ci pianta lì”, non guarda stizzito e irritato da un’altra parte, non cambia strada, ma sta sulla nostra perché noi possiamo finalmente ritrovare quella che ci permetterà di diventare nuovamente consapevoli di ciò che siamo e cioè figli fatti per amare perché amati.  

Continuamente, in ogni situazione mi chiedo come fa Dio a venire nella mia vita?  E capisco che il suo stare vicino tenendomi per mano diviene scuola di come noi dobbiamo essere capaci di stare vicino al nostro fratello, agli uomini e alle donne che più o meno intensamente condividono le nostre vite.  Allora lo guardo e anche io provo ad essere come lui, vicino.  

“Viene dopo di me colui che è più forte di me”. Lui viene non come chi impone la sua forza, ma come chi anzitutto condivide la nostra vita. La guarda con il bene negli occhi e nel cuore, sapendo che questo è ciò che cambia in meglio la vita. Viene come uno che non ha paura di far vivere a noi, quanto ha di più prezioso, pieno della fiducia che sapremo prima o poi gustarlo e lasciarci riempire sino in fondo. 

Viene come uno che assieme al desiderio di custodire e accudire chiede di essere accudito e custodito e in questo si espone anche al rischio di non essere sempre riconosciuto e, perciò, di non essere sempre accolto. Accogliere e custodire è possibile nella misura in cui io stesso mi lascio accogliere e custodire. (Il Natale ci ha donato un Dio che si è fatto custodire). 

Viene come chi sta dentro alle nostre dinamiche anche strane, ai nostri tempi lunghi, ai nostri umori altalenati, a volte fatti di grandi slanci, altre volte fatti di mille dubbi e paure, di stanchezze che ci fanno “tirare il freno a mano della vita”, quello delle relazioni.  Lega a sé quelli che porta nel cuore e persino chi a volte sembrerà non essere all’altezza, chi non sarà all’altezza del legame, chi a volte farà del male a questo legame. Viene come chi bussa alla porta del cuore per proporre e promettere una esperienza di vicinanza unica ed esclusiva, mai sperimentata così forte nella propria vita.   

Il nostro essere di Dio, l’essere dell’altro non può pensare di essere fatto solo di regole, forme o patti più o meno rispettati. È appartenere e lasciarsi tenere in quello che si è. Lasciarsi continuamente cambiare in meglio dallo stare dentro al bene che ci si vuole. Viene come chi ha in sé la forza di permette a chi ha sbagliato di accorgersi e quindi di riprendere con nuova energia il cammino. Viene dicendo che persino nelle storie che sembrano essere più contraddittorie, c’è la luce di un senso se si lascia che la Grazia e gli sguardi graziosi possano attraversarle. Avere uno sguardo diverso sulle proprie storie ci siamo detti tante volte. Viene come chi davanti alle ferite e sulle cicatrici della vita di chi ha di fronte, versa l’olio della consolazione e il vino della speranza, la dolcezza della misericordia, aprendo così la notte del dolore alla luce del sole che sorge al mattino di ogni nostra Pasqua.
Viene restituendo alla nostra fede la forza di salvare e di riaprire storie che apparivano ormai troppo compromesse per continuare ad esistere, ad essere in cammino dentro un sogno comune. 

Viene come chi non perde neppure una lacrima scesa dagli occhi di chi è amato.  

Non dimentica e sta vicino e oltre il dolore vede le speranze, e non smette di vederle a chi si sente sfiorire nel cuore della giovinezza; speranza anche in chi pensa che il suo male sia troppo grosso per poter essere guarito; di chi è spaccato in due dalla malattia che ti lascia inerme; di chi non riesce a venir fuori da situazioni davvero complicate; di chi ci ha provato ma è rimasto con un pugno di mosche in mano. 

Viene e dice che l’uomo è sempre di più di una norma frutto di tradizioni stabilite solo dalla durezza del cuore e dalla presunta sicurezza che esse potevano generare. 

Viene e ti aiuta a riconoscere il male che c’è nel tuo cuore e così ti aiuta a capire che sei povero e piccolo e quindi mai potrai pensare di essere giudice di un altro.  

Viene come chi non usa mai il potere o la forza per sottomettere o come chi cavalca l’onda dell’entusiasmo o del consenso facile, ma come chi sceglie la posizione del servizio e del dono a oltranza; come chi pensa che la libertà dell’altro sia l’origine di ogni possibile scelta vera. Viene come chi capisce che non è un gioco amare e provare a donare la vita e che per farlo bisogna mettere in gioco qualcosa o tanto di sé stessi e non ha paura di entrare personalmente nelle storie; di compromettersi; di rischiare; di dover pagare di persona costi quello che costi.  

Viene dicendoci che c’è uno sguardo più alto di quello dell’uomo, una forza più potente e quando sembra di non capirci più niente, sa mettere tutto nelle mani di Dio che interverrà non liberandolo dalla morte ma nella morte e dice con forza che l’ultima parola non è del male né della morte ma della vita e dell’amore.  

«Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento».  

 Ecco, essere forti perché ci si sente amati.   

Non basta essere intelligenti, avere una buona salute, saper cosa fare e sapersi muovere anche nelle situazioni più difficili.  L’unica cosa che fa essere uomini e rimanere umani, l’unica cosa che ci fa sentire fratelli e figli, il grande segreto che ci abita il cuore nel segno e nella forza che si mescola con Dio è questo Amore che ci si sente addosso. Senza l’amore non riusciamo nemmeno ad alzarci dal letto la mattina.  Se non ci sentiamo amati tutto diventa pesante, impossibile, impraticabile, grigio, e triste.  L’amore alimenta il viaggio della nostra vita. 

Mi piacerebbe sentirlo sempre questo, il compito splendido che il mio e il nostro essere cristiani, battezzati, ci affida, compito di fede-fiducia, compito di dono, compito di vita vera. 

Compito che fa sì che Dio sia contento di noi ogni volta che ci guarda.