Il modo migliore per iniziare il 2021
Di Daniele Rocchetti, delegato nazionale alla Vita cristiana
In mezzo a tanta violenza e sofferenza qualcosa avevo fatto. Solo questo. Questo, e niente di più. Ho solo risposto alla mia coscienza. Quello che va fatto lo si deve fare”. Così ha continuato a ripetere fino alla fine Pierantonio Costa a quanti gli chiedevano ragione della sua ostinata scelta di voler salvare vite durante il dramma ruandese del 1994. Un genocidio che ha portato alla morte, in poco più di tre mesi, di un milione di persone. Uomini e donne, vecchi e bambini. Che vuol dire 416 persone all’ora, 7 ogni minuto.
È morto nei giorni scorsi Pierantonio Costa, un nome che scoprii casualmente parecchi anni fa leggendo La lista del Console, il bel libro di Luciano Scalettari, talentuoso giornalista di Famiglia Cristiana, grande conoscitore dell’Africa.
Forse non c’è modo migliore per iniziare questo 2021 che raccontare la vicenda di un “giusto”, un uomo che nelle difficoltà ha cercato di custodire l’umano, anche a rischio della propria vita.
Tre mesi ininterrotti di massacri
Il 6 aprile 1994 l’aereo sul quale viaggiava il presidente ruandese Habyarimana assieme al presidente del Burundi Nytaryamira fu abbattuto mentre stava atterrando a Kigali. Fu il segnale che lanciò i partiti estremisti della maggioranza hutu contro la minoranza tutsi all’opposizione e contro gli esponenti dei partiti moderati hutu. Fu l’inizio del genocidio del Ruanda.
In tre mesi un milione di morti, massacri e violenze di ogni genere: uno dei capitoli più terribili del ventesimo secolo. In quei 100 giorni di follia collettiva Pierantonio Costa, alle spalle una famiglia con cento anni di emigrazione nel continente nero, imprenditore di successo, console onorario a Kigali, capitale del Ruanda, sposato, con tre figli, opera “controcorrente”. Mentre intorno a lui c’è sofferenza e morte, comincia a girare il piccolo Paese per mettere in salvo il maggior numero di persone possibile. Prima gli italiani, missione che considera suo dovere, poi tutti gli altri: ruandesi, molti dei quali tutsi (contro di loro si aprì una vera e propria caccia all’uomo); ma anche belgi, spagnoli, burundesi, francesi. E mentre Costa viaggia per la capitale in preda al caos, la sua famiglia nasconde in casa una quindicina di tutsi: la moglie Mariann li protegge e fa da mangiare per loro, il figlio maggiore Olivier gira per Kigali, per portare in salvo qualche gruppo di disperati. Tre mesi di missioni avventurose, con tanti episodi di altruismo ed eccezionale umanità.
Un uomo normale che ha saputo scegliere da che parte stare
Sarà lo stesso Costa a raccontarlo alcuni anni dopo: “Decisi che avrei operato così. Mi sarei vestito sempre allo stesso modo per essere riconoscibile: pantaloni scuri, camicia azzurra, giacca grigia. Distribuite nelle tasche – e sempre nello stesso posto – avrei messo banconote da 5000 franchi rwandesi (circa 20 euro), da 1000, da 500 e, infine, da 100 franchi, per essere sempre pronto a estrarre la cifra giusta, senza dover contare i soldi: la mancia deve essere data nella misura giusta, se dai troppo ti ammazzano per derubarti, se dai troppo poco non passi. Nella borsa avrei avuto costantemente con me alcuni fogli con la carta intestata del consolato d’Italia, e sul fuoristrada ci sarebbero state le immancabili bandiere italiane. Quanto alla durata delle incursioni oltre confine, avrei evitato il più possibile di dormire in Rwanda e di viaggiare col buio.” Mentre faceva questo, militari e interahamwe (le bande di assassini che davano la caccia ai tutsi), ladri e sciacalli, l’hanno depredato e rapinato di tutto ciò che aveva. Costa ha perduto, in quei tre mesi, beni e mezzi per oltre 3 milioni di dollari. Le quattro aziende che aveva furono spazzate via.
Salvare i bambini
Nelle ultime settimane di quella immane mattanza, un obiettivo, per Costa, diventa quasi un’ossessione: portare in salvo due grossi gruppi di bambini: 600 si trovano nell’orfanotrofio di Nyanza, custoditi dai padri rogazionisti; altri 750 sono in un campo di raccolta della Croce Rossa a Butare. L’ultimo mese è una lotta contro il tempo, con la guerra che arriva e i permessi difficili da ottenere. Con i bambini sempre più in pericolo. In realtà, il bilancio del suo operato è di aver salvato quasi 2000 persone. Poche, rispetto al milione di morti del genocidio. Ma tantissimi per un uomo solo, con i mezzi limitati.
In un commosso ricordo sul sito di Gariwo, l’Onlus milanese che da più di vent’anni lavora per far conoscere i Giusti (www.gariwo.net), Scalettari ricorda la famosa frase del Talmud scritta sull’anello che gli operai regalarono a Oskar Schindler: “Chi salva una vita salva il mondo intero”. E scrive: “Costa era un Giusto. Ma, soprattutto, era un uomo normale che aveva saputo comportarsi in modo straordinario. Non aveva ambizioni al martirio, non si considerava un eroe, non riteneva di aver fatto un granché. Non era il missionario che si dà totalmente agli altri, né il rambo pronto a opporre il proprio petto ai proiettili. Perciò, in teoria, la sua impresa era alla portata di tutti.
Questo è ciò che turba, o perlomeno che mi turba. Perché – come lui stesso insisteva a dire – ha fatto solo ciò che riteneva essere nelle sue possibilità, ponendo la massima attenzione a tornare a casa vivo. Quello che contava per lui era di non aver potuto fare di più. Si macerava nel rimorso di non aver speso più energie, più tempo, più viaggi, più notti, in quei maledetti 100 giorni. Troppi suoi amici, conoscenti, o anche solo persone che aveva saputo essere in pericolo non era riuscito a salvarle, non aveva fatto in tempo. E per loro gli si incrinava la voce, anche anni dopo, anche quando, in seguito, andammo in decine di incontri a parlare di Ruanda, del genocidio, del suo impegno per mettere in salvo qualche vita umana.”
Un viatico per l’anno che si apre
Un racconto della tradizione ebraica narra che esistono sempre al mondo 36 Giusti. Nessuno sa chi sono e nemmeno loro sanno d’esserlo ma quando il male sembra prevalere escono allo scoperto e si prendono i destini del mondo sulle loro spalle e questo è uno dei motivi perché Dio non distrugge il mondo. Finito questo periodo hanno la capacità e l’umiltà di tornare alla vita normale, quella di tutti i giorni, non raccontando nulla di quanto fatto, per un semplice motivo: ritengono d’aver fatto solo il proprio dovere di uomini, nulla di più e nulla di meno.
Pierantonio Costa è stato certamente uno dei trentasei giusti. Un uomo normale che ha saputo scegliere da che parte stare. Un compito e un impegno che spetta a tutti. Non dimentichiamocelo nell’anno che si è aperto.