Scuola: in questi giorni se ne parla veramente tanto, così come raramente è capitato negli ultimi anni. E se ne parla spesso male. Si evidenziano carenze ed inefficienze: tempi dilatati nella definizione della pianta organica, disorganizzazione, ritardi nel reperimento dei banchi, inadeguatezze strutturali evidenziate da molti anni, ed altre emergenziali figlie della pandemia. Problemi nuovi, quindi, che vanno a sommarsi alle difficoltà consuete. Ma è giusto fermarci solo ai problemi? Non sarebbe auspicabile cominciare a discutere di futuro? Non sarebbe necessario iniziare ad immaginare un nuovo scenario di senso per una scuola/laboratorio di cultura e di trasmissione di diversi saperi che guardi con coraggio al domani? Non potremmo cominciare imparando, una volta tanto, proprio dagli errori?
Nel 2019 la Fondazione Agnelli, nel suo rapporto sull’edilizia scolastica, rappresentava una fotografia tutt’altro che positiva della situazione. Erano stati presi in esame, da tecnici specializzati, più di novemila edifici monitorati nel 2018, per lo più definiti vecchi, fatiscenti ed inadeguati spesso costruiti con materiali scadenti, senza criteri antisismici, non sostenibili da un punto di vista energetico, con rilevanti problematiche strutturali che riguardavano le pareti, i tetti, i solai. In compenso risultavano ricchi di barriere architettoniche, posizionati in luoghi rumorosi e con evidenti problemi di smog. Per questa serie di ragioni, scriveva la Fondazione; “serve un piano da 200 miliardi”. Del resto, questo report raccontava, certamente in maniera dettagliata e completa, solo ciò che balza agli occhi: gli edifici sono vecchi non solo nella loro datazione ma anche perché pensati per un modello/idea di scuola e di didattica molto lontani dalle esigenze odierne, ed oggi più che mai evidenti. Problemi vecchi che vanno a sommarsi a problemi nuovi: il distanziamento, gli ingressi contingentati e spalmati su orari diversi, gli spazi esterni molto spesso assenti, i banchi non adeguati, le aule troppo piccole o, comunque, mal disposte. Non possiamo pensare che le toppe che oggi mettiamo nella ristrutturazione emergenziale degli edifici rappresenti il modello di scuola bella, sicura e educativamente significativa anche nei suoi ambienti per il futuro del nostro paese. Potremmo cominciare a pensare ri/pensare a quali edifici riteniamo necessari per educare ed istruire i cittadini del domani?
Le ricerche italiane degli ultimi anni sulla condizione professionale dei docenti registravano una crescente situazione di disagio e di demotivazione. Certamente influiva, su questo stato di crisi latente, l’insoddisfazione verso stipendi considerati inadeguati (comunque tra i più bassi in Europa), la mancanza di una progressione di carriera, l’assenza di incentivi, ma è evidente che per molto tempo abbiamo osservato, forse con indifferenza ed un anche po’ di fastidio, ad una più generale crisi di identità, di visibilità sociale e di autorevolezza verso gli insegnanti. Tutto questo va sommato all’evidenza che la classe insegnante italiana, in Europa, è una tra le più vecchie. Potremmo, oggi cominciare a ridiscutere i percorsi di studio dei nostri insegnanti? Non sarebbe possibile rivedere e ridisegnare il ruolo sociale della nostra classe docente ricomponendo relazioni significative con le università ed i centri di ricerca? Non sarebbe opportuno rivedere anche gli aspetti sindacali e contrattuali?
Nella società italiana abbiamo tutti assistito, negli ultimi decenni, ad un calare progressivo del valore e della percezione sociale dell’esperienza scolastica: e questo, in assoluto, è il dato più inquietante. Ricordiamo bene le pagine di molti quotidiani e i titoli dei tg, ma anche nel parlare quotidiano, i commenti ed i racconti di scontri verbali, e purtroppo non solo, tra genitori e professori, dell’accusa di una sorta di abuso di potere da parte dei docenti e dall’altro lato di difesa ad oltranza dei figli da parte dei genitori, più in generale di una mancata o cattiva comunicazione tra scuola e famiglia. Tutto questo senza far menzione dei numerosi casi di bullismo e del dato che molti ragazzi non consideravano la scuola come un momento importante per e della loro vita. Come lavorare tutti, istituzioni e società civile, per ricomporre un senso di comunità che ricollochi la scuola, la formazione, la cultura, la trasmissione dei diversi saperi -teorici e pratici – al centro della politica nazionale? È una domanda ed un impegno prioritario che dobbiamo assumerci tutti.
Quindi la scuola con i suoi insegnanti anziani e demotivati, in scuole vecchie e fatiscenti, dentro un conflitto sociale tra scuola e famiglia, nell’indifferenza della società e nelle difficoltà delle istituzioni ha dovuto affrontare una crisi inaspettata che ha minato la certezza stessa della sua esistenza. Eppure ce l’ha fatta: grazie al lavoro e alla passione di tanti che si sono messi di impegno per cercare risposte non facili né scontate, talvolta improvvisando e sperimentando innovazioni, cercando soluzioni. Molto è stato fatto, molto resta da fare, perché la forbice che la pandemia ha aperto è pericolosa in particolare per i più fragili e questo va contro il senso costituzionale dell’essere e fare scuola.
Ma forse non tutti i mali vengono per nuocere. In questi ultimi mesi la pandemia ha contribuito, nella sua durezza e ferocia, a modificare molte cose. La scuola, che improvvisamente e per diversi mesi non è più stata una sicurezza obbliga tutti, oggi, a non sottostimare più i suoi atavici problemi. Le famiglie che si sono dovute sobbarcare, durante i mesi della reclusione, il peso dell’incertezza ed hanno dovuto assumersi ruoli e compiti dei tanto vituperati insegnanti, hanno potuto comprendendone a fondo le difficoltà. La politica che oggi ha posto la scuola e la sua ripresa al centro dell’agenda e del dibattito nazionale ha preso impegni precisi ed ha individuato risorse ingenti: certo non è ancora abbastanza, ma è un inizio ed è molto più di quanto negli ultimi decenni è stato mai fatto.
Ma alla politica dobbiamo chiedere ancora un passo in più: dove collochiamo la formazione professionale? Non è forse anche questa una esperienza di scuola purtroppo assolutamente emarginata dall’agenda e dal dibattito politico? Dimenticare una fetta così significativa della formazione, significa ignorare migliaia di ragazze e ragazzi, famiglie e lavoratori ed imprese che in questi mesi hanno dovuto affrontare l’emergenza senza alcun aiuto significativo da parte delle istituzioni. Questo non è solo una dimenticanza ma una mancanza assoluta di prospettiva verso il futuro: un paese che vuole guardare avanti non può dimenticare la formazione professionale ma anzi, dovrebbe incentivarla e renderla presente come una infrastruttura significativa in tutto il territorio nazionale.
I problemi, in questo rientro, ci sono e sono molti ed è vero che molto rimane ancora da fare, ma se una cosa forse abbiamo imparato è che dobbiamo tutti guardare alla nostra scuola e alla nostra formazione professionale come istituzioni fondamentali (e non solo come espressione di un principio) di cui dobbiamo tutti prenderci cura. Le criticità che permangono dovrebbero diventare i temi centrali di una riforma sostanziale per riportare il dibattito non solo sulle emergenze ma sul modello di scuola e di formazione che crediamo importante per far crescere ogni persona, ad ogni età. La società civile e le sue organizzazioni devono fare la loro parte contribuendo ad animare dibattiti, proposte, discussioni e riflessioni sul ruolo che vogliamo che la nostra scuola ritorni ad occupare oggi per guardare con speranza al domani.
Erica Mastrociani
Consigliere Presidenza Acli con delega Scuola e Formazione