Ottima l’intuizione del fondo competenze, nel decreto Rilancio. Ma, più in generale, è ottimo che stia pubblicamente emergendo il ruolo della formazione come driver di un nuovo sviluppo, più inclusivo. In questo periodo sono emersi anche un paio di documenti che confermano questa tendenza. Il primo è il documento del Comitato di esperti in materia economica e sociale – la cosiddetta task force Colao – che ha pubblicato un documento intitolato Iniziative per il Rilancio Italia 2020-2022. Il secondo è una delle raccomandazioni del Consiglio dell’Unione Europea sul programma nazionale di riforma 2020 dell’Italia. Entrambi insistono sul ruolo della formazione. Vediamoli brevemente.
Alcune dichiarazioni del documento europeo sono molto chiare, come questa: investire nell’istruzione e nelle competenze è fondamentale per promuovere una ripresa intelligente e inclusiva e per mantenere la rotta verso la transizione verde e digitale. Segue l’indicazione a migliorare le competenze digitali degli adulti in età lavorativa, investendo nell’apprendimento a distanza. Segue l’indicazione ad aumentare i laureati in scienze e ingegneria, il tasso di istruzione terziaria e in generale si spinge al miglioramento delle competenze e la riqualificazione professionale, considerate centrali per far acquisire ai lavoratori le competenze rilevanti per il mercato del lavoro e per promuovere una transizione equa verso un’economia inclusiva, sostenibile e digitale. Il futuro desiderato ha questi tre aggettivi: inclusivo, sostenibile e digitale.
Anche il “piano Colao” spende molte parole in quest’ambito. La descrizione del contesto di partenza è drammatica. Dei tanti dati presenti citiamo solo il 26mo posto dell’Italia (sui Paesi dell’Unione europea) nelle skill digitali; citiamo gli esiti assai scarsi conseguiti nell’ormai tradizionale indagine Pisa (Programme for International Student Assessment) dell’Ocse, citiamo la percentuale di Pil investita dall’Italia in istruzione e formazione (3,8%) rispetto alla media europea (4,6%); citiamo il basso livello di risorse a favore del diritto allo studio; citiamo infine la sostanziale assenza di un’istruzione terziaria pur con un numero di laureati ancora piuttosto basso. Che fare? Le proposte degli esperti sono molte. Mi pare possano essere raggruppate in quattro punti. Provo a sintetizzare.
Il primo punto concerne la forma, pensata come sviluppo di filiere formative a geometrie variabili, ossia attraverso una governance a guida pubblico-privata dove le regioni – o altri livelli territoriali in accordi di programma – possono coinvolgere altri enti pubblici, reti di imprese, istituti scolastici, agenzie formative e università. Anche i finanziamenti sono multitasking, coinvolgono fondi europei – es. Sure – e fondi privati – col “volontariato” da parte di aziende ad adottare classi sia da infrastrutturare tecnologicamente sia da coinvolgere in momenti di formazione innovativa o competitiva (es. gara dei talenti).
Il secondo punto riguarda la materia, il tipo di competenza: su queste non ci sono molti dubbi. Il principio è che l’offerta formativa si basi sulla domanda reale, sulla capacità di trovare o creare lavoro. Ecco perché si propone sia la formazione delle competenze specifiche – quelle dal settore che ne necessita – sia delle competenze trasversali, come il rafforzamento delle skill digitali, delle discipline STEM (quelle tecnico-scientifiche: science, technology, engineering and mathematics), delle capacità di problem solving, di resilienza, di capitale psicologico e in generale delle soft skill. Queste abilità possono essere formate sia nei periodi di lavoro sia durante i periodi di cassa integrazione o di qualunque patto per il lavoro.
Il terzo punto ha a che fare con gli incentivi per avviare queste strategie. Si invocano stimoli fiscali per le imprese – ad esempio attraverso la defiscalizzazione – e stimoli condizionali o monetari per i lavoratori, con la reintroduzione della condizionalità dei sussidi – per esempio per il Reddito di Cittadinanza – e con l’elargizione di finanziamenti per l’acquisto di PC o tablet.
Il quarto punto si occupa di una dimensione spesso trascurata ma invece importante, ossia l’orientamento. L’orientamento va potenziato attraverso laboratori e iniziative quali la career education precoce o la career and life counselling con esperti e in collaborazione con insegnanti (formati) e genitori. Serve attivare interventi per la co-costruzione di buone e realistiche visioni del futuro. A scovare un talento o una predisposizione utile al mondo serve tempo. Un elemento decisivo riguarda l’incentivazione – anche attraverso campagne pubblicitarie – alla frequenza degli ITS, ossia della formazione terziaria non universitaria, attualmente troppo scarsa nonostante l’indubbio valore pratico.
Questi mi sembrano i quattro punti fondamentali: insieme sono un buon… punto di partenza per realizzare una solida e potente infrastruttura di istruzione e formazione in Italia. È il momento di aprire una nuova grande stagione formativa, come fu negli anni Cinquanta. Il documento europeo – tra l’altro – collega in modo funzionale l’istruzione e la formazione con il welfare, finalmente pensato non come strumento per suturare i danni di uno sviluppo insostenibile, semmai come motore di uno sviluppo – appunto – sostenibile, equo e digitale. La direzione c’è, è tutta in salita ma – in fondo – a noi le salite piacciono, no?